Si conclude la pagina, ma non il libro Wolfenstein targato Bethesda. Sin dalla sua prima apparizione, oltre vent’anni fa, la serie si è evoluta di pari passo con il mercato mondiale, promuovendo e mettendosi in mostra ove possibile per la sua irruente inventiva e un gameplay di grande ispirazione. La storia fu siglata quel lontano 1981 con l’ideazione di un marchio che ha incarnato poeticamente tutti i canoni dell’eccellenza della game industry: creatività e freschezza. Prendere a calci i nazisti è a mani basse uno degli sport preferiti dai videogiocatori di tutto il mondo, ma tale provocazione nacque proprio con la nascita del brand, che introdusse per la prima volta il concetto che oggi tutti conosciamo come sparatutto in prima persona. Quando si riprende tra le mani un’opera così delicata e consacrata come Wolfenstein si è sempre un po’ scettici sul possibile rimaneggiamento ludico: azione che ha sempre diviso gli appassionati e i fan di tutta una vita. Tra dubbi e una tonnellata di lacrime nostalgiche, si spaccano così le porte del futuro e dell’opportunità con Wolfenstein Youngblood: il primo titolo della serie ad avere un cuore cooperativo. Quanto è costato al brand mettersi in discussione?
Osare e mettersi in gioco in un’industria come questa non è sempre stato sinonimo di successo, ora per merito di un pubblico schiavo dei propri ricordi tanto da non poter condividere un cambiamento, ora per scelte drastiche che hanno macchiato il DNA dei titoli più longevi. Si prende dunque una strada alternativa per rimettersi in pista, puntando su un qualcosa di mai intrapreso in passato: un comparto cooperativo. A far sbocciare questa possibilità è la scelta narrativa che ha dato vita al progetto, proprio perché al centro del ciclone di eventi e proiettili in Wolfenstein Youngblood sono presenti le figlie gemelle di B.J. Blazkowicz: Jess e Soph. Il motore immobile che ha dato origine a questo nuovo intrigante spin-off è la scomparsa misteriosa del padre, che marchierà a fuoco la strada delle due ragazze. Ma si sa: buon sangue non mente e le due eroine incarnano spiritualmente tutto ciò che ha reso il brand un marchio insormontabile, impreziosendo il tutto con un po’ di sfrontata fanciullezza. Non sono bastati 19 lunghi anni a debellare e sradicare la minaccia nazista, tanto che la missione di ricerca per trovare William sarà l’ennesimo pretesto per scavare in una Parigi devota al Terzo Reich, che sfrutta un’atmosfera mista tra la nostalgia retrograda del franchise e una lucida consapevolezza di poter ancora offrire molto, ma molto di più.
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Se io fossi Wolfenstein, terrei la cooperativa e il single player lasserei altrui.
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Il plauso più grande però è legato ad una saggia scelta per introdurre la modalità cooperativa. Sebbene questa sia godibile sia offline con un’intelligenza artificiale di supporto, sia online in compagnia di un amico, trae la massima efficacia in quest’ultima. A supporto di questa iniziativa è disponibile un’edizione contenente il Buddy Pass: una feature in grado di poter condividere la propria esperienza in Wolfenstein Youngblood con un amico che non deve avere per forza il gioco. Una piccola aggiunta di 10 euro al prezzo iniziale di 30, che però permette di ingrandire in modo sano la community del brand, passando alla storia come un prodotto altamente coinvolgente ed aperto anche ai meno esperti. Un’implementazione che dovrebbe far riflettere anche altre opere moderne che, ad esclusione di alcune che l’hanno promosso timidamente, avrebbero solo da imparare da una decisione del genere. I vantaggi sono biunivoci, se da una parte il franchise abbraccia calorosamente i curiosi e un giovane bacino d’utenza, dall’altro è lo stesso gameplay a giovarne, focalizzandosi su una delle parole chiavi dell’era social: la condivisione. Passare serate estive in compagnia in sani combattimenti al cardiopalma è immancabilmente un modo piacevole di dimenticarsi del caldo, ma anche un modo in più per sfruttare appieno le potenzialità di questo nuovo capitolo.
Nella forsennata caccia alla ricerca del padre, le sorelle si incarniranno in delle vere e proprie valchirie, brandendo con carisma la piena ideologia di B.J. Così come descritto dal fisiologo Hobbes, anche Wolfenstein Youngblood si basa sull’idea dell’uomo come “lupo” che vaga in una foresta di atrocità e crudeltà, e pertanto saranno le singole ragazze a dover fare la differenza per debellare l’ambizione occlusiva nazionalsocialista. Proprio nel centro nevralgico della Parigi fedele ad Hitler si erge in tutta la sua gloria la tecnica di Arkane Studios, che porta con se una ventata d’aria fresca per quanto concerne il level design. Si abbandona (finalmente) la piatta visione retrograda del brand e ci si affaccia ad un’elegante verticalizzazione delle aree di gioco, promuovendo mappe spazialmente variopinte. In queste prolificano una marea di quest secondarie divertenti, anche se talvolta un po’ banalotte, che cedono il passo ad un gameplay intelligente: capace di sfruttare sia l’approccio tattico dello stealth, sia il gioco di squadra più dinamico. Il destino intrecciato delle sorelle è un legame che va ben oltre la linea del sangue, dato che esse condividono le tre vite a disposizione e il medesimo arsenale bellico, che spesso non brilla per duttilità e versatilità.