La Casa di Carta 3 Recensione: tra plateale teatralità e il fantasma di Berlino

Dalla grande scommessa di Alex Pina sino all’Emmy Awards guadagnato lo scorso anno come migliore serie di stampo drammatico, La Casa di Carta ne ha davvero fatta tanta di strada. Tra filosofia e spettacolo è divampato l’amore per la genialità del Professore, la sensualità di Tokyo o la delirante malinconia di Berlino: tutto ciò è solo la punta dell’iceberg di quel che nasconde il grande spettacolo della banda di Dalì. La serie evento di Netflix ha affascinato proprio tutti, soprattutto per quella velata fiaba a tema Robin Hood che solletica le ostilità tra popolo e istituzioni. Nel delicato limbo che lega il mondo tragicomico rappresentato e le aspettative dei fan della serie, alberga l’impegnativo bisogno di mettersi ancora una volta sotto le luci dei riflettori. A comando della barca dei ladri più amati della tv c’è Netflix, la quale è riuscita a galvanizzare l’attenzione mediatica e la forza iconografica che si è creata intorno al brand. Avrà dunque retto le aspettative, anche dopo la morte di uno dei personaggio più amati della serie?

Non vi faremo spoiler di alcun tipo, quindi tranquillizzatevi sin da subito. Il modus operandi rimane lo stesso degli scorsi episodi, anche se in una veste assai più nostalgica e comica di quel che si ricordi. A muovere i fili della trama sono gli stessi protagonisti memorabili: la ciclicità degli eventi nata e marchiata a fuoco tra gli occhi disperati di Tokyo, emerge un’altra volta. I personaggi alla fine sono umani e la banda, sebbene sia uscita vittoriosa dall’ultimo colpo, risente di ferite sentimentali passate, che non si sono più rimarginate. Una lacrima di libertà fugge via dal viso di Tokyo la quale, sebbene scappata in un’isola paradisiaco in braccio al suo amato Rio, non riesce a soffocare il suo desiderio di sregolatezza. Come la mela tentò l’uomo nell’Eden, così la vita loca mondana porterà la protagonista fuori rotta, condannando Rio ad essere scoperto dalla polizia locale. Sebbene nessuno sa dove sia stato imprigionato, la banda decide di fare il colpaccio per portarlo allo scoperto, facendo ciò che sa fare meglio: rubare con stile.

L’ultimo grande spettacolo delle maschere di Dalì è una magistrale partita a scacchi.

Il fenomenale spettacolo di sotterfugi, intrighi amorosi e pirotecniche azioni d’assalto da parte delle forze speciali condiscono il tutto come il vecchio capitolo, peccato che in parte risulti una minestra riscaldata. Complice una recitazione non sempre al top, il susseguirsi d’eventi rimane ancorato agli standard delle stagioni precedenti, arrugginendo la trama con digressioni da nuda e cruda telenovela. I subdoli piani del Professore tuttavia risultano sempre azzeccati e follemente geniali ed è impossibile non innamorarsene un’altra volta, specialmente perché ora che forma un carismatico duo in compagnia dell’investigatrice apparsa nei vecchi episodi, che ora si fa chiamare Lisbona. La comparsa di volti nuovi da ambo le fazioni ha fatto decisamente bene alla serie: la nuova investigatrice Alicia è dolcemente subdola e conserva un lato da vera sadica. L’opera si regge però sul lascito dei colossi che l’hanno condotta fino a questo punto, primo tra tutti il controverso Berlino. Sebbene egli sia morto come il più prode partigiano in cerca della sua tanto agognata libertà, egli aveva lasciato una sorta di testamento da ladro a ladro, con un piano che ha il sapore dell’impossibile.

Schiavo del passato e implicitamente controllato dal flusso degli eventi iniziato da Berlino, La Casa di Carta 3 mantiene altalenanti picchi di tensione al cardiopalma e profondi intrighi emotivi. A colmare il vuoto che ha lasciato il teatrale protagonista è il suo fedele amico e fratello di vita Palermo, che emula ed idolatra fino agli estremi il suo defunto amico. Egli si atteggia con movenze e sbalzi d’ira proprio come lui, ma finisce irrimediabilmente per passare come un protagonista altezzoso e arrogante, che però fa il suo delizioso debutto su schermo. Ognuno incarna una figura ben distante e emotivamente variegata, ma si nota sin da subito che l’evoluzione psicologica e l’esistenza dei singoli è frutto di un meccanismo più grande ed ognuno è funzionale al proprio scopo. Non manca certamente l’imprevedibilità che regala un pizzico di brio in più al tutto, ma si tratta di una vera e propria partita a scacchi come la definisce il Professore. I pezzi cambiano mossa dopo mossa, ma i ruoli e la gerarchia rimangono dettami insindacabili. Si smaschera così pezzo dopo pezzo il grande gioco di prestigio che è riuscito ad allestire la mente del protagonista interpretato da Alvaro Morte, mentre si sciolgono come neve primaverile i ricordi delle grandi icone che hanno reso questa serie indimenticabile.

La Casa di Carta 3 si conferma quindi uno sfarzoso esempio di forza da parte di Netflix, che riesce a travolgere ancora una volta lo spettatore con un’assoluta teatralità scenica e un groviglio di toccanti rapporti umani, sempre ben contestualizzati. I fantasmi del passato, in primis la mancanza lacerante di Berlino come uno dei punti di riferimento è risanato dal suo coinvolgimento spirituale: il testamento del ladro più controverso e carismatico del piccolo schermo. Sebbene la recitazione non sia sempre del tutto coinvolgente e la narrazione abbia un andamento incostante, la genialità del piano orchestrato dal Professore ripaga da sola le ore passate a godersi la serie. Non sempre le digressioni e i siparietti emotivi di alcuni protagonisti sono incalzanti e funzionali all’organico della trama, ma quella marea di emozioni e amori che governano il tutto non vi lascerà delusi, ma saprà strapparvi sorrisi e lacrime. Si perde dunque un po’ dal lato del carisma, ma la serie mantiene la sua filosofia di base, iniziando e finendo con il botto, senza mai annoiare e in preda a una burrasca di eventi del tutto imprevedibili. Un’onda di eventi inghiottisce così tutti i nostri amati eroi e, ballando sul limite tra tragedia e commedia, si rimane comunque incantati dallo scorrere della partita a scacchi.