Uno dei più grandi sogni di ogni fan dei fumetti che si rispetti è quello di vedere su schermo la propria opera preferita, a patto che si mantenga lo stile e lo spirito del materiale originale. Il medium televisivo, in questo senso, è un ottimo veicolo che consente il passaggio dalla carta alla proiezione fisica, poiché grazie alla divisione in puntate e stagioni riesce a trasporre interi archi narrativi non sacrificando personaggi o storyline, a differenza di un lungometraggio, che dovrebbe necessariamente espandersi con più pellicole spalmate in anni. Una versatilità che ha recentemente portato sulle maggiori piattaforme streaming realizzazioni come Umbrella Academy (qui trovate la nostra recensione) su Netflix o Lucifer, show ispirato all’omonimo comprimario di Sandman di Neil Gaiman, che è protagonista di uno spin-off a strisce scritto da Mike Carey. In attesa dell’arrivo di The Boys, realizzazione che sarà disponibile su Amazon Prime Video alla fine del mese, riscopriamo quindi Preacher, prodotto figlio dello stesso autore di comics, Garth Ennis, che è stato portato sul network AMC nel 2016 (in Italia su Amazon) grazie a Evan Goldberg, Seth Rogen e Sam Catlin, e giunto alla terza stagione.
Un predicatore, un vampiro e una ladra: quale migliore pretesto per narrare una dinamica storia che coinvolge delle sette segrete, oscuri sacerdoti voodoo e molti altri elementi in bilico tra folklore, religione e fanatismo. Effettivamente, all’apparenza potreste pensare di avere a che fare con una versione più gore di Supernatural, ma la descrizione non sarebbe del tutto azzeccata e non gli renderebbe giustizia. L’intento dell’intera storia è infatti quello di colpire pesantemente ogni singolo fruitore mediante una diretta e martellante rappresentazione degli aspetti più aberranti e spaventosi della società: religione e politica sono un continuo bersaglio della potente critica, feroce e aggressiva, che non raschia mai solo la superficie. Un’opera del genere, che già fece scalpore negli anni ’90 quando uscì per la prima volta, non è propriamente indirizzata a tutti a causa della quantità estrema di parolacce e di satira brutale, ma nonostante questo, a scapito di alcune divergenze, la sua controparte “moderna“ è riuscita perfettamente ad incarnare l’animo letterario non eliminando per nulla la sua carica umoristica.
Dal punto di vista tecnico ci troviamo di fronte ad una regia che si concentra prevalentemente nella messa in scena dei personaggi e che raggiunge i picchi di maggiore intensità nelle scene più action: ogni combattimento, fuga e o semplice scazzottata sarà unica e piacevole alla vista. Spostandoci sulla sceneggiatura avremo invece tra le mani un copione volutamente esagerato sia nei dialoghi che nella costruzione delle figure, che siano comprimarie o principali. Queste ultime (in alcuni casi) non sembrano realistiche, ma delle vere e proprie caricature fumettistiche, e grazie a ciò possono permettersi di possedere caratteristiche estreme: vi basti pensare al vampiro irlandese Cassidy (uno strepitoso Joe Gilgun), amante dell’alcool e dei fratelli Coen, ma in caso di bisogno anche di carne umana. Il protagonista, invece, il fallito predicatore Jesse Custer (un insolito Dominic Cooper), ha un oscuro passato che mano a mano che la narrazione prosegue si svela agli occhi del pubblico, che sarà la giusta leva per proseguire nella visione della realizzazione. Più vicino ad un antieroe che al coraggioso cavaliere di tutte le storie, l’uomo trascinerà i suoi compagni in giro per gli USA, in un folle viaggio che lo porterà nella maggior parte dei casi nei guai fino al collo. Chiude il cerchio degli eroi Tulip O’ Hare (Ruth Negga), ex-fidanzata di Jesse e rapinatrice di professione, sagace, pungente, e dotata di un ardore fuori dal comune.
Non andremo oltre nella descrizione degli antagonisti, per evitare troppi spoiler, ma vi assicuriamo che ne rimarrete rapiti: parliamo di maschere così folli e fuori dal comune da rimanere impressi nella memoria. Quello che rende tutto questo affascinante è che il confine tra bene e male è molto labile in Preacher, e per tale motivo i cattivi di cui abbiamo parlato non sono così tanto differenti dalla squadra di eroi. Le maggiori disuguaglianze saranno riscontrabili negli obiettivi perpetrati e dall’ideologia, ma per il resto entrambe le fazioni non si fanno scrupoli nell’uccidere a sangue freddo o a duellare con ferocia. L’opera è solo questo, direte voi? In realtà mancano ancora due elementi fondamentali all’intera costruzione. Vediamoli insieme.
La musica, da quando è stata introdotta all’interno dei lungometraggi, è diventata parte fondamentale delle pellicole in quanto contribuisce direttamente ad immergere lo spettatore nel mood delle scene. Anche lo show di cui stiamo parlando deve molto alla sua soundtrack: oltre ad essere molto variegata, è inserita sempre nel momento giusto e spesso viene usata per introdurre e dettagliare perfettamente i luoghi della narrazione, guidando lo spettatore in prima persona. Abbandonato un contenuto per così dire fisico, passiamo ora ad analizzare un concetto o tematica che dir si voglia, che fa parte della filosofia dello show: la violenza. In modo analogo all’ideologia “tarantiniana“, la brutalità nel prodotto serve a sensibilizzare gli utenti grazie ad un uso eccessivo (quasi fastidioso) del sangue. L’abuso e la continua rappresentazione di tali immagini, infatti, non solo è parte preponderante dell’estetica vera e propria della serie, ma è anche uno strumento atto a mandare messaggi ben precisi, indiretti senza dubbio, ma portatori di una denuncia implicita che traspare in alcuni momenti topici della storia.
Preacher, se siete amanti dei prodotti di nicchia dalla portata esplosiva (in tutti i sensi), vi saprà regalare tantissime ore di divertimento, riflessione e una buona dose di sano umorismo. Gli amanti della pura forma e della pulizia formale correranno al largo e la vorranno distruggere in tutte le sue parti, ma il compito dello show è proprio questo: sparare a zero contro perbenisti, falsi critici e amanti di un certo tipo di linguaggio. La realizzazione riesce difatti, tramite una grottesca e irriverente riproduzione della realtà, a mostrare il marcio e il sudiciume dietro il mondo di oggi che, coperto tramite un velo di bugie, ha il sorriso perennemente stampato sulle labbra.