L’arrivo di Old Blood, gradevolissimo add-on del già apprezzato Wolfenstein: The New Order, ha messo la classica ciliegina su una torta preparata ad arte dai ragazzi della MachineGames: dopo essere riusciti a riesumare un brand finito sull’orlo del baratro dopo il modesto rilancio azzardato da Activision nel 2009, la software house svedese al soldo della Zenimax è difatti riuscita a dire la sua anche in fatto di espansioni, ricordando un po’ a tutti – e a me in primis – che, se approcciate con la giusta onestà intellettuale, anche queste particolari operazioni commerciali possono avere una propria ragion d’essere. In termini più ampi, l’intera “faccenda Wolfenstein” ha in ogni caso da insegnarci ancor di più e cioè che, unendo ad un certo talento l’integrità produttiva di cui sopra, è possibile restituire dignità persino al Reboot e Remake: due format che molti di noi vorrebbero veder scomparire definitivamente dal vocabolario videoludico, cui la maggior parte dei publisher continua evidentemente a relazionarsi in modo sbagliato. Il successo di critica e pubblico registrato dal redivivo B.J. Blazkowicz può d’altro canto rappresentare anche e soprattutto un atto d’accusa nei confronti di tutte quelle aziende che continuano a “confondere” il revival col riciclo. Appurato che di mettere mano a qualche IP inedita proprio non se ne parli, che almeno ci si prenda la briga di fare le cose come si deve: ho infatti idea che il mondo pulluli di giovani team pieni di inventiva come i MachineGames che aspettano da chissà quanto tempo l’occasione giusta per dire la loro.
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