Nel corso della storia del videogioco, sono stati in molti a interrogarsi su cosa sia in effetti questo oggetto strano e misterioso. Mi vengono in mente le parole e le opere di Peter Molyneux o, più di recente, di David Cage. E, ogni giorno, decine di migliaia di sviluppatori in tutto il mondo sono intenti a travalicare i limiti espressivi di quella che è a tutti gli effetti una forma d’arte, e, in quanto tale, incomprensibile. Di conseguenza, questo mette la critica di fronte a una sfida più che mai ardua, che ci porta a chiederci: come posso giudicare opere così tanto diverse tra di loro adottando gli stessi strumenti critici? Nero è un tipico esempio di quei giochi che sfidano le categorie e le definizioni, portandoci a ripensare il nostro concetto di videogioco. Ah e, per inciso, è anche un gioco completamente made in Italy.

Credo che la cosa migliore da fare per goderselo sia aspettare la sera, staccare da tutto il resto, spegnere la luce e indossare un paio di cuffie. A quel punto, scatterà qualcosa in voi, che vi porterà a innamorarvi di questo mondo e a non volervene più separare. Vorrete sempre saperne di più sulla storia, che affronta temi delicati, con un lirismo che difficilmente avrei immaginato possibile in un videogioco. Nero è una splendida allegoria del senso di colpa e dell’impossibilità di gestire il dolore, e di come l’uomo reagisce quando viene messo di fronte a un destino ineluttabile. La scrittura è la grande protagonista di quest’esperienza, affiancata e sostenuta da una direzione artistica magistrale. C’è chi ha parlato di cali di frame rate, e trovo che questo sia ridicolo di fronte alla bellezza e alla freschezza delle visioni del gioco. C’è molto stile, ma compensato da altrettanta sostanza e maestria nel raccontare storie.

Descrivere Nero non rende pienamente giustizia alla sua essenza: sulla carta, infatti, è un gioco esplorativo dove la prosecuzione ludica è affidata a dei puzzle; parallelamente, vi viene raccontata una storia attraverso un narratore, delle scritte che compariranno sullo schermo e delle cutscene. Parlare in termini così impersonali di Nero equivale a definire asetticamente “amplesso” una notte passata con la persona che amiamo.

[su_quote]

Una splendida allegoria del senso di colpa e dell’impossibilità di gestire il dolore

[/su_quote]

Nero, infatti, è molto più della somma delle sue parti e, banalmente, solo giocandolo si può capire veramente che siamo di fronte a un’opera d’arte interattiva. Bisogna entrare in un particolare stato d’animo per apprezzare fino in fondo Nero: affrontandolo come un videogioco qualsiasi probabilmente non ne ricaverete nulla. Questo non è un gioco per chi ama le sparatorie, i movimenti frenetici e la competizione. Nero vi darà tanto, ma perché questo avvenga dovrete essere pronti anche voi a donargli altrettanto, amandolo e lasciando che l’esperienza vi attraversi nella mente e nell’anima. È qualcosa di molto simile alla letteratura, in questo senso.

Tutto il gioco è costruito per comunicare delle emozioni e ciò si riflette appieno nelle scelte di design: ad esempio, premendo il tasto della corsa, il vostro personaggio di certo non diventerà un centometrista. Ho apprezzato molto l’accessibilità del gioco, che ritengo uno dei suoi punti di forza, dal momento che permette di godersi appieno la storia senza dover necessariamente essere delle piovre con il pad: tutto è asservito alla narrazione, per cui è davvero difficilissimo che vi blocchiate con quelli che sono dei semplici puzzle ambientali alla Zelda. Rifiutare il dogma della sfida è una scelta decisamente coraggiosa, ma è anche ciò che permette al gioco di essere tanto incisivo e commovente, un vero e proprio sogno a occhi aperti e pad in mano. Questo non vuol dire che la sfida sia assente: è richiesta una certa dose di ragionamento, soprattutto quando nell’equazione entrerà un altro personaggio.

Qui ritorna la mancanza di strumenti critici adeguati di cui parlavo in apertura. Più volte giocando Nero mi sono chiesto se non avrebbe tratto giovamento da una scelta ancora più coraggiosa, ossia eliminare del tutto il gameplay. Sacrilegio? La mia è volutamente una provocazione, ma è indicativa della sudditanza delle meccaniche rispetto alla narrazione. Nero scalcia impaziente nel limitante campo semantico del videogioco, portandoci a rivedere le nostre convinzioni. Ma è anche qualcosa che non sarebbe mai stato possibile in un film: qui siamo noi a guidare il personaggio, a vedere il mondo in prima persona con i suoi occhi.

In virtù di questo, credo che non ci sarebbe stato nessun altro medium in grado di rappresentare con altrettanto vigore il messaggio artistico di Nero. Già, perché in una game industry fatta di esplosioni ed effetti speciali roboanti, Nero ci fa interrogare su temi profondamente umani. Ricordandoci le troppo spesso dimenticate potenzialità del medium interattivo.