Rilassarsi sulla poltrona e guardare un po’ di sana fantascienza è un qualcosa di irrinunciabile non trovate? In fin dei conti, quando si tratta di sognare ed immaginare le utopistiche previsioni sul futuro della razza umana, siamo solo ansiosi di contemplare dove essa ci può portare e, qualora questa oltrepassi il labile confine morale della nostra società, ci convinciamo che sia niente di più che finzione. Le persone di per sé amano sentirsi al sicuro, costruendosi intorno un castello di vetro fatto di certezze e virtù che loro stesse hanno accettato come tali, eppure non sempre si preoccupano di quanto sia fragile ed effimera la loro idea di sicurezza. L’unico che ha visto oltre quel castello è Charlie Brooker, un regista britannico che ha scavato a lungo nel pozzo del disagio umano, plasmando gli incubi peggiori del nostro mondo nel modo più sfrontato e cinico possibile. Raschiato il fondo però, lo stesso filmaker si è reso conto, forse, che la popolazione non è preparata all’oscuro avvenire che tende ad ignorare, rimanendo imprigionata in fittizi canali di piacere, dove prolificano tecnologie sempre più alienanti. Nasce così il cambio di marcia in Black Mirror Stagione 5.
Gli anni di Black Mirror ci hanno insegnato che la filosofia dell’autore non è mai stata orientata verso un lieto fine, ma ha avuto sempre la funzione di freddo monito sul nostro futuro. Ho sempre fantasticato su come Charlie Brooker amasse definire la situazione attuale dell’umanità, ma credo che la si potrebbe assimilare ad un treno senza freni: impazzito e fuori controllo, che ha avanti a sé un burrone dove si interrompono i binari, ma con la possibilità di cambiare rotaia da un momento all’altro. Proprio per questo le tre puntate che compongono la quinta stagione sono ben diverse dalle precedenti: fanno riflettere su problematiche strettamente attuali, lanciando un grido di aiuto. A metterci la faccia sono questa volta protagonisti che compongono un cast stellare, come: Anthony Mackie, il celebre Falcon degli Avengers, Pom Klementieff, la Mantis dei Guardiani della Galassia, Andrew Scott, che è conosciuto per il suo ruolo in Sherlock e Topher Grace, nota star di sit-com e celebre per aver interpretato Venom in Spider Man 3. Abbiamo lasciato volutamente per ultima la cantate Miley Cyrus, perché il suo ruolo nella terza puntata è, a mio dire, il più studiato e sentito della stagione, ma ci arriveremo con calma.
Lo specchio dell’umanità rappresentato in questa stagione abbandona la sua veste distopica per soffermarsi su tematiche concrete.
Non faremo spoiler di alcun tipo a livello di trama, quindi tranquilli, perché ci limiteremo a sviscerare quelli che sono gli aspetti più significativi di queste tre ore di stagione: le molteplici tematiche sfiorate. La prima puntata apre il sipario sulla tranquilla e spensierata vita quotidiana del protagonista (Anthony Mackie) con uno scorcio su quel che è stato il profondo rapporto di amicizia con il suo migliore amico. A distanza di dieci anni i due decidono di rivivere insieme i tempi di sana goliardia, concedendosi una partita nel sequel VR del loro gioco preferito: Striking Vipers, un picchiaduro apparentemente classico. Da qui seguiranno dinamiche inaspettate che tireranno i fili del destino di tutti i protagonisti dell’episodio, mettendo in dubbio la nostra concezione di amore e di inadeguatezza dell’uomo circa i propri sentimenti: la nostra vita ci rappresenta veramente o è solo un soffocante abito di tabù e incertezze? Molti ancora oggi sono costretti a vivere vite rassegnate, senza mai aprirsi al proprio istinto, ed è proprio questo che non riusciamo ancora a maturare.
La seconda puntata è invece molto meno movimentata della prima, e si svolge in un clima di profondo stress ed inevitabili sentenze morali. Non ci sono vincitori e né vinti e la breve e strappalacrime avventura di un qualunque autista di car sharing diviene in breve tempo solo un mero pretesto per far luce su macro e micro condanne sociali, alcune radicalmente esplicite, altre solo accennate. Ciò che più fa scalpore è la confessione del protagonista sui danni dei social network e l’orribile destino che lega l’umanità al proliferare della piaga che essi generano: creati per uno scopo e poi studiati per divenire un morbo dal quale è impossibile staccarsi. Sebbene il contesto sia stato già discusso ai quattro venti, non mancano le digressioni e le confessioni dei cosiddetti portavoce della società: personaggi simbolicamente apostrofati, che incarnano il degrado assoluto. Vi è comunque spazio per aprire parentesi sui problemi legati alla privacy e alle discutibili pratiche di un mondo marcito dal consumismo. Una scena in particolare sembrava un richiamo, sia per tematiche che per costruzione, al memorabile discorso tra Kamski e Connor nella tenuta isolata del primo: uno dei momenti cruciali di Detroit Become Human, ma parliamo di pura speculazione.
Uomini e donne si esibiscono come portavoce del dramma moderno, sentenziando l’ipocrisia e il bigottismo comune.
La tanto chiacchierata apparizione di Miley Cyrus in questa quinta stagione di Black Mirror è sicuramente uno degli argomenti più caldi e attuali, dalla sua inusuale partecipazione, alla grande attualità che decanta la sua puntata. Lei stessa in un’intervista ha più volte sottolineato che le tematiche trattate nell’episodio tre sono parte dei suoi incubi peggiori e del dramma del destino dell’arte nel mondo piegato della tecnologia. Il progresso ha silenziosamente inghiottito l’arte nell’oblio, disumanizzando il rapporto che l’uomo aveva con essa ed obbligando l’artista a divenire un mero strumento di influenza dai media. Il destino della cantante incontra così quello di due adolescenti, simulando in più occasioni la potenza mediatica degli influencer sulle giovani menti, e dall’obbligo di questi nel rispettare il proprio personaggio, perdendo talvolta la propria libertà. Pensieri duri, che mettono sotto i riflettori non solo la vita ragazzi d’oggi, ma anche l’inevitabile ed altalenante vita delle star del nuovo millennio: i tanto discussi influencer o creator.