The Town of Light, quando il vero orrore è la realtà

Oculus Rift ha generato una proliferazione di titoli horror, e non a caso. Questo genere, è ovvio, ben si presta a essere vissuto immersi in un device, isolati completamente dal mondo esterno. Se questo si è tradotto molto spesso in semplici giochi basati sul “jump scare”, in Italia c’è chi punta a fare qualcosa di diverso. Stiamo parlando di The Town of Light, un’esperienza psicologica in prima persona realizzata dallo studio indipendente  tricolore Lka.it e in arrivo per la fine del 2015. Un gioco terrificante, perché attinge dal materiale horror più potente di tutti: la realtà.

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Già, perché la storia di The Town of Light affonda le radici in una vicenda tutta italiana, ignominiosamente taciuta e dimenticata, e su cui invece Lka.it intende fare luce. Il manicomio di Volterra è infatti un’istituzione controversa, nata in un momento storico dove la considerazione del paziente era di un essere umano “con la presunzione di continuare a vivere nonostante la vergognosa malattia che l’ha colpito”. Molto spesso nei videogiochi le istituzioni psichiatriche vengono raccontate in maniera stereotipata, da luna park oserei dire (pensiamo per esempio ad Outlast). The Town of Light punta a combattere questo preconcetto, presentando una storia sfaccettata che prende in considerazione tutti i punti di vista. Da una parte abbiamo il ricoverato, che perdeva i diritti civili e veniva sottoposto a terapie invasive e violente, tiranneggiato dallo staff medico e, a tutti gli effetti, imprigionato. Dall’altra, abbiamo i medici e gli assistenti sanitari, messi di fronte a un male oscuro e difficilmente affrontabile, quale la malattia mentale.

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Gli sviluppatori puntano a dare voce alle storie di quei piccoli che la storia ha dimenticato

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The Town of Light non racconterà la storia reale di una paziente, ma le vicende saranno comunque storicamente attendibili; il gioco si concentrerà sul vissuto di Renée, una giovane donna schizofrenica, che si svolge a Volterra tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40. La scelta di un setting così particolare deriva dalla necessità di rappresentare il momento di massima emergenza del manicomio, talmente sovraffollato da soverchiare un personale che si rivelava sempre esiguo rispetto alle necessità. Da notare, inoltre, che in quest’epoca non erano ancora arrivati gli psicofarmaci, rendendo il processo terapeutico, se così possiamo chiamarlo, particolarmente ostico e doloroso. I pazienti infatti non potevano essere tranquillizzati per via farmacologica, ma erano sottoposti a docce gelate, lobotomie, soffocamento, sevizie necessarie per mantenere l’ordine in quella che era a tutti gli effetti una bolgia dantesca.

Nonostante sia stato scelto un periodo specifico, gli sviluppatori affermano che la storia di The Town of Light ha carattere universale, e sarebbe potuta essere ambientata in qualsiasi altro manicomio. Ciò che ha fatto pendere l’ago della bilancia a favore di Volterra è la particolare struttura architettonica dell’edificio, che è stato ricreato fedelmente all’interno del gioco. Il complesso ospedaliero è infatti composto di vari padiglioni di dimensioni relativamente ridotti, calati all’interno di un affascinante e imponente parco. Gli sviluppatori ci tengono a sottolineare che l’ambientazione sarà protagonista alla pari di Renée, e probabilmente sarà usata come veicolo di storytelling; il potenziale per creare un’avventura narrativa alla Dear Esther c’è, ed è la dimostrazione che il nostro Paese è ricco di storie che possono essere d’ispirazione persino per un videogioco.

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Particolarmente interessante è la modalità tramite la quale sarà presentato lo storytelling: il gioco è infatti ambientato ai nostri giorni, ma muovendosi all’interno del manicomio sarà possibile rievocare dei flashback della vita di Renée. La componente narrativa non è slegata dal gameplay, ma lo influenza direttamente. Lo scopo del gioco è infatti ricostruire la personalità della paziente, andando alla ricerca di documenti, rivivendo le sue allucinazioni e cercando di capire quello che cercherà di dirci. Con The Town of Light, gli sviluppatori puntano a dare voce alle storie di quei piccoli che la storia ha dimenticato, ma la cui sofferenza dovrebbe essere un monito affinché certi orrori non si ripetano mai più. L’aspetto più interessante del gioco è il suo focus sulla narrazione e il rifiuto di meccanismi abusati e convenzionali. Per questo motivo, non ci sarà bisogno di risolvere puzzle, né tanto meno avremo a che fare con minacce spettrali, ma l’orrore sarà comunicato in una maniera molto più psicologica, che si insinuerà sottilmente nella pelle del giocatore. Abbiamo citato Oculus Rift in apertura perché il device creato da Palmer Luckey è stato notato dagli sviluppatori di Lka.it, che hanno deciso di costruire il gioco in base alle sue caratteristiche. In effetti, trattandosi di un gioco riflessivo e basato sul coinvolgimento emotivo, si presta particolarmente bene per la VR.

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Personalmente uno degli aspetti che mi intriga di più di The Town of Light è proprio il rifiuto del dogma videoludico della minaccia soprannaturale, che tarpa le ali a modalità espressive più ricercate. Anche perché, a giudicare dalle informazioni reperite su Internet sul manicomio di Volterra, le vicende non hanno bisogno di essere arricchite tramite la fiction: sono già abbastanza inquietanti di loro.

Se pensate che tutto quello di cui parla il gioco sia acqua passata, vi sbagliate di grosso. Al momento, il Senato Italiano ha disposto la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, le cui condizioni di vita sono drammaticamente simili a quelle del manicomio di Volterra. La procedura, tuttavia, sta riscontrando molte difficoltà. Chissà se The Town of Light riuscirà nell’intento di scuotere le coscienze.

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