Il grande Lebowski: la magia dei fratelli Coen in un’unica soluzione

Questo mese torniamo a parlare di un cult immortale dell’industria cinematografica: Il grande Lebowski, diretto da Joel Coen e scritto dallo stesso filmaker con il suo celebre fratello Ethan, che sono oramai noti come un’entità sola, nonostante siano due persone distinte. Già in precedenza avevamo avuto occasione di parlare brevemente dei registi in questione, nel momento in cui abbiamo analizzato la serie tv Fargo, che è in parte ispirata al loro film omonimo. Oggi, invece, vedremo nel dettaglio un’opera che esprime tutta la visione di questi artisti a 360 gradi, capaci di realizzare prodotti da un appeal irresistibile, con una solida e organica sceneggiatura e dalla comicità disarmante. È doveroso farvi notare, prima di cominciare, che questo film è così impresso nella cultura pop che è stato persino citato in Avengers Endgame, con il look di Thor che assomiglia moltissimo a quello del protagonista. Se siete quindi curiosi di sapere come mai gli viene attribuita tale importanza, seguitemi in questa folle avventura dai contorni surreali.

Se vi aspettate un inizio stupefacente sarete in parte delusi: la sceneggiatura della pellicola,infatti, partirà con una situazione piuttosto banale (un caso di scambio di persona) che genererà però degli eventi a catena a metà tra il dissacrante e l’umoristico: il ritmo rimarrà alto fino alla fine, di conseguenza sarete stupiti continuamente da momenti sempre più divertenti e d’impatto. Degno di menzione è anche il monologo che funge da prologo (narrato da una voce fuori campo), che introduce gli spettatori in maniera ipnotica all’interno della narrazione. Nel caos generato dalle più svariate situazioni ne vedrete delle belle: un giocatore di bowling pederasta (John Turturro), una squadra di violenti nichilisti, un’artista eccentrica (Julianne Moore) e molto altro ancora: siamo sicuri che il vasto campionario di figure contenute sarà sufficiente per intrattenervi il più a lungo possibile. Di fatto abbiamo appena descritto il punto focale, che rende estremamente interessante il lungometraggio nella sua interezza: la caratterizzazione dei personaggi.

Se l’eroe di turno, interpretato dal brillante Jeff Bridges, è un nullafacente totale, alcolizzato e drogato, il suo fido compagno di sventure (che ha il volto di John Goodman) è un ex-veterano del Vietnam che ha qualche problema di autocontrollo.

 

Il lavoro alla base del protagonista Drugo e dei suoi co-protagonisti Walter e Donny (ma anche delle altre apparizioni) è di addizione e non di sottrazione: prendete uno stereotipo, riempitelo di elementi barocchi ed esagerati ed avrete il perfetto esempio di come funzionano i vari soggetti che si alternano su schermo. Se l’eroe di turno, interpretato dal brillante Jeff Bridges, è un nullafacente totale, alcolizzato e drogato, il suo fido compagno di sventure (che ha il volto di John Goodman) è un ex-veterano del Vietnam che ha qualche problema di autocontrollo. Quest’ultimo regalerà agli spettatori alcune tra le scene maggiormente ricordate della realizzazione, come l’incidente al bowling e l’interrogatorio al giovane Larry, ancora scolpiti nella memoria collettiva di qualche generazione. Pur se secondario, anche il terzo componente del gruppo (Steve Buscemi) è interessante anche se condivide poche e semplici battute, necessarie per delineare un personaggio dal buon cuore e dalla fedeltà incrollabile. La scrittura fa poco però senza che ci sia una degna interpretazione, per questo motivo gli attori che abbiamo menzionato (ma non solo loro sia chiaro) sono perfetti nelle loro performance, quasi siano ruoli ricalcati con lo stampino per le loro prodezze davanti alla cinepresa.

Il grande Lebowski
L’amore incondizionato di Drugo per il White Russian è talmente forte da averlo reso uno dei cocktail più famosi di sempre.

Ma come mai i personaggi hanno tutta questa efficacia? Sì è vero sono divertenti: ma non basta. La risposta va a colpire uno degli aspetti filosofici dei fratelli Coen, che vedono gli uomini in maniera assolutamente negativa: pieni di difetti, ma umani fino al midollo ed estremamente vicini al pubblico che li osserva tramite una pellicola ed è proprio questo il segreto per renderli così immensi e funzionanti in ogni scena. Se questa è una parte dell’essenza stessa del film, i dettagli che lo rendono incredibile sono da ricercare nell’umorismo nero (storico marchio di fabbrica degli autori) che spezza le sequenze più drammatiche: qualsiasi situazione, anche la più tragica, riuscirà a strapparvi una risata, con un invito a godere della vita anche se nei momenti meschini e catastrofici. Detto questo, sarà difficile resistere alle immagini incredibili e fantasmagoriche che i filmaker vi presenteranno e tra uno stacco di inquadratura ben calibrato, un momento onirico-allegorico e una battuta esilarante, passerete le due ore di durata con una leggiadria rara e invidiabile, difficile da trovare nei lungometraggi di ultima generazione.

“È questo il modo in cui la dannata commedia umana procede e si perpetua”.

 

Il grande Lebowski è un’esperienza cinematografica assolutamente da sperimentare: fuori dai canoni dai lungometraggi umoristici tradizionali, ma lontano il punto giusto dai drama, il film si pone in un perfetto bilanciamento, facendo vivere allo spettatore un parco vario e imprevedibile di avventure, non così lontano dalla realtà di quanto all’apparenza possa sembrare. Difatti, tolti gli eccessi e le assurdità amplificate, saremo partecipi di una bella e verosimile storia, una novella che potrebbe raccontarci un nostro anziano zio o il misterioso cowboy (Sam Elliott) che apre e chiude il sipario del lungometraggio: un moderno cantore pronto a deliziarci con fiabe dalla morale dubbiosa, ma dalla portata universale. D’altronde, per parafrasare il criptico personaggio, “È questo il modo in cui la dannata commedia umana procede e si perpetua.” E noi possiamo solo essere d’accordo.