American Gods: come modernizzare la mitologia e renderla cool

Considerando il periodo, che ha visto l’uscita di Avengers: Endgame il 24 aprile (qui trovate la nostra recensione), è stato necessario approfondire con più articoli il Marvel Cinematic Universe e le altre realizzazioni ad esso correlate, come il caso di Agents of S.H.I.E.L.D. Questa settimana cambiamo però completamente registro e vediamo da vicino un prodotto che ha saputo ritagliarsi una buona fetta di appassionati su Amazon Prime Video (in Italia), spiccando tra le varie opere presenti sulla piattaforma. Oggi scopriremo American Gods: show del 2017 ideato da Bryan Fuller (quel geniaccio dietro Hannibal) e Michael Green (Logan – The Wolverine, Blade Runner 2049) per il canale via cavo Starz e giunto alla seconda stagione, da poco terminata. Poiché la serie è l’adattamento dell’omonimo romanzo dello scrittore fantasy Neil Gaiman (che è tra i produttori e consulenti), nonostante stiamo parlando di media differenti, sarà opportuno confrontarli, non tanto per elogiare o meno la qualità di uno dei due, ma per capire determinate scelte di resa effettuate, dettate dalle regole della televisione. Partiamo quindi dal principio, accennando ad un minimo di trama che consenta di fare un discorso il più ampio possibile, per poi vedere velocemente i collegamenti con il libro e i meriti che la realizzazione possiede.

Nel suo ultimo giorno da detenuto, Shadow Moon (Ricky Whittle), viene scarcerato in fretta e furia a causa di un evento sconvolgente: la morte della moglie. Una volta libero dalla prigione, l’uomo avrà un incontro ravvicinato con una figura, l’enigmatico Mr. Wednesday, che lo recluterà in una guerra grandiosa, che vede come principale sfidanti Déi e creature mitologiche. Se su un fronte si trova la vecchia guardia composta dai più antichi esponenti (come Anubi e Thot per fare degli esempi), dall’altro vi sono le nuove Divinità della tecnologia e dei social, che vogliono a tutti i costi spodestare dal trono i Pantheon classici e dominare il nostro pianeta. Andando più nello specifico, nella prima stagione assisteremo al reclutamento vero e proprio dei vari partecipanti alla battaglia, mentre nella seconda ci addentreremo nel conflitto vero e proprio, con alcuni fatti molto significativi necessari per il continuo della storia. E in tutto questo il materiale originale come si pone? Semplice ispirazione o fotocopia?

Quasi tutti i personaggi che verranno introdotti negli episodi hanno una loro esatta controparte cartacea (nella maggior parte dei casi meno approfondita, considerando la lunghezza non esorbitante del libro), che in alcuni casi hanno un arco narrativo completamente diverso dalla loro versione stampata. Oltre a questo, saranno al centro delle vicende nuovi Déi (inventati o approfonditi per l’occasione), sia per avvicinarci di più ai tempi che corrono (il romanzo è del 2001) che per ampliare l’universo di riferimento. Grazie alle soluzioni appena citate, American Gods è godibile sia per i lettori dell’opera originale che per il pubblico che non ha letto la realizzazione di Neil Gaiman ed è completamente estraneo ai fatti che avvengono tra le pagine. Fino ad ora, dal poco che ho descritto, sembra di avere di fronte un prodotto noioso e datato perché composto da archetipi vecchi da secoli, quasi quanto la creazione della Terra stessa. Ma è proprio qui che le due opere, in modi dissimili, dimostrano la loro originalità e freschezza.

Il merito più grande è quello da attribuire alla caratterizzazione dei personaggi, che sono in grado, letteralmente, di bucare lo schermo (o la cellulosa, vedete un po’ voi), grazie alla loro estetica travolgente e dal look elegantemente pop. Nel caso del libro l’elogio è da indirizzare all’autore, mente per quanto riguarda lo show, oltre alla brillante scrittura degli sceneggiatori, è da valorizzare l’enorme contributo del solido e sfaccettato cast: capace di portare in televisione entità senza tempo e immortali. Il compito non è facile e i vari attori riescono a dare il giusto peso e importanza ai ruoli, aggiungendo anche un tocco di classe in più (gesti, modi di parlare, movenze), che li rendono perfetti in tutto e per tutto. Il sagace Dio dell’inganno Anansi (Orlando Jones), il sanguinario Czernobog (Peter Stormare), il truffaldino e manipolatore Odino (Ian McShane), ognuno  di loro (come molti altri) riesce a trovare il proprio spazio nella storia. Il copione, però, non si limita a questo e intavola sequenze memorabili ricorrendo molto spesso a digressioni, flashback ed altri artifici, per poter costruire al meglio (e rendere credibile) il mondo dove i vari eroi e antagonisti si muovono. Il lessico, la lingua, ogni dialogo richiamano il mondo teatrale, e con un registro associabile interamente alle tragedie e alle commedie di stampo classico, si riesce a riprodurre fedelmente l’èpos tradizionale in tutte le sue pure forme.

La regia e la fotografia sono coerenti con lo script e catturano ogni singolo atomo e pulviscolo di ogni scena, per trasformarlo in un’estetica sontuosa e raffinata: il diavolo sta nei dettagli e questi ultimi sono maniacalmente valorizzati, con una cura e dedizione da manuale. Sullo stesso piano si pone la colonna sonora, che fonde pezzi di diversi generi musicali con traccie più strumentali, andando a costruire un solido accompagnamento alle avventure di Shadow Moon e soci. Ultimo e non meno importante è il forte messaggio di critica, presente in più di un episodio, che è inserito anche nel romanzo originario. Il setting statunitense e l’utilizzo di figure distanti dall’umanità è un ottimo pretesto per poter parlare liberamente di tematiche come il dilagare del razzismo, la violenza (soprattutto quella delle armi da fuoco), il potere dell’immaginazione e della creatività, ma anche la nostra dipendenza nei confronti delle nuove forme d’intrattenimento e dei nuovi media che avanzano.

American Gods è una serie che sa distinguersi nel panorama televisivo attuale grazie alla sua vigorosa identità e al suo contenuto molto forte e di impatto. Il linguaggio usato dagli showrunner e dagli sceneggiatori (ma anche dai registi) è infatti volutamente sovrabbondante, esagerato e pomposo, carico di significati e simbolismo e non è facilmente comprensibile in caso di visione superficiale e affrettata del pubblico. L’attenzione che richiede lo show, però, è ampiamente ripagata con una storia affascinante, che nonostante si appoggia a racconti e narrazioni secolari, riesce ad essere attuale grazie ad una scrittura mai banale e superficiale. D’altronde quando Omero e Virgilio incontrano il guizzo creativo di Tarantino e la fantasia di Terry Gilliam, non può che uscire un allettante e colorato universo, dove le favolose vite di Déi e i terrificanti scontri che li vedono protagonisti, sono il cardine fondamentale di una moderna rilettura dell’Epica, che è al centro della cultura occidentale ed orientale.