“Quando si cerca un eroe, bisogna partire dalla cosa di cui ogni eroe ha bisogno: un cattivo. Per questo, cercando il nostro eroe Bellerofonte, abbiamo creato un mostro: Chimera.”
Da Mission: Impossible 2 (John Woo, 2000)
Che i ragazzi di Ubisoft Montreal avessero colto l’intima essenza del monologo d’apertura di Mission Impossibile 2 ce n’eravamo accorti già un paio d’anni fa, quando l’allucinato Vaas Montenegro rubava copertina, scena ed anima all’ anonimo protagonista del terzo episodio di Far Cry. Il più recente exploit dell’eccentrico Pagan Min, signore della guerra dal sadico humor nero,  non può dunque che apparire come la naturale sublimazione del concetto.
Ad attribuire connotati di eccezionalità a quella che potrebbe facilmente apparire come una semplice provocazione non è tuttavia l’introduzione di un antagonista carismatico – dal vecchio Drax al grande LeChuck, passando per Geese Howard e Land Di, il mondo dei videogame ci ha d’altronde abituati a questo genere di figure – quanto la precisa volontà di sovvertire radicalmente l’ordine della narrazione fino a trasformare l’effettivo protagonista della storia in un banale signor nessuno. Con un cattivo tanto caratterizzato, di fronte ad una personalità tanto forte, quest’ultimo non ha in effetti alcun bisogno ad sfoggiare un volto memorabile, un background intrigante o chissà quale altra peculiarità distintiva, perché il solo opporsi a una tale minaccia saprà  inesorabilmente renderlo un eroe ben più affascinante dei tanti super-macho che affollano il jetset videoludico.
Di tutte le qualità  riconoscibili ad un titolo come Far Cry 4, ma è ovvio che il discorso valga anche per il suo precursore, l’elemento di maggior rilievo emerge, a mio avviso, da questa particolare sfumatura. Anche e soprattutto perché l’architettura dei videogame si era finora rivelata piuttosto refrattaria a questo genere di artifici narrativi. Sviscerata ormai da tempo negli ambiti letterario e cinematografico, la teoria del Bellerofonte può in tal senso costituire una preziosa conquista per l’intero movimento videoludico e rappresentare un’ ulteriore valvola di sfogo per acquisire quella piena maturità concettuale che compete ad ogni reale forma d’arte.
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