E se… la nuova copertina di Borderlands 3 fosse davvero offensiva?

Non girerò intorno alla questione, a costo di risultare impopolare: in qualità di persona a cui è stata serenamente impartita un’educazione di stampo cattolico (tuttavia non sono, nell’ordine: 1) bigotto 2) ortodosso 3) praticante, bensì vagamente aperto a una spiritualità agnostica), sono un po’ turbato dalla copertina del nuovo Borderlands 3, e da tutte le implicazioni che porta con sé. Più che altro è il sentiment collettivo del pubblico di videogiocatori, saggiato da social network e soprattutto image board legate al gaming, che mi lascia perplesso. Poiché, temo, sia il frutto di una supposta superiorità intellettuale autodiagnosticata dai gamer; spontanea e genuina reazione di pancia all’idea, ormai superata, di videogioco come medium ancillare rispetto alla cultura alta: ovvio! Purtuttavia, sintomo che, se trascurato, rischia di sfociare nella mancanza di dialogo, e dunque nell’oscurantismo e nell’ottusità. Nota a margine: già il fatto che se ne parli, in realtà, poco, lo ritengo quanto meno curioso.

Ovvio, un videogioco, come qualunque altra opera di finzione, è assolutamente legittimato a usare l’iconografia religiosa per trasmettere il suo messaggio, qualunque esso sia, anche fosse soltanto mirato a vendere più copie. Io, tuttavia, ho la facoltà e il diritto di offendermi. E sì che di giochi che attingono dall’immaginario cristiano ne ho giocati e apprezzati a bizzeffe. Bioshock Infinite si apre e si chiude letteralmente con un battesimo, e tutto il mondo di gioco è costruito sulla base dell’immaginario integralista cristiano. La città del primo episodio, del resto, si chiama Rapture, come l’evento miracoloso che alcuni credenti più radicali prospettano ai margini della fine del mondo. Tuttavia, lì abbiamo una precisa visione autoriale (scaturita dal signor Levine), nata da volontà altrettanto precisa di criticare non soltanto l’integralismo di matrice cristiana, ma ogni tipo di integralismo, finanche ogni tentativo di segregazione razziale generata da una concezione deviata e deviante della religione.

“Racist Morons Have Serious Issues With BioShock Infinite”, titolava in maniera abbastanza eloquente Kotaku, nell’Anno del Signore 2012.

Anche Bioshock Infinite ricevette la sua dose massiccia di critiche, che trassero origine dalle raffigurazioni stereotipate viste nei poster propagandistici sparsi per la città volante di Columbia. I promotori di queste accuse, francamente ridicole, ignoravano che tali manifesti fossero parte integrante della critica sociale mossa da Mr. Levine, espressione di un mondo distopico fittizio, dove l’integralismo ha trasformato gli uomini in zombi filosofici.

Ovvio, un videogioco, come qualunque altra opera di finzione, è assolutamente legittimato a usare l’iconografia religiosa per trasmettere il suo messaggio

È sempre una questione di contesto, d’altro canto. Vai a un bar mitzvah vestito da gerarca nazista e probabilmente finirai in galera. Fai la stessa cosa a una convention di fumetti underground giapponese e non sarai più strano di una ragazza vestita da Hatsune Miku o Sailor Moon, e tutt’al più attrarrai qualche feticista delle divise. Il Giappone offre per giunta un’altra interessante sponda al nostro discorso, che ci permetterà di navigare verso la tesi finale.

Magari la prossima volta ad Halloween mettiamo il classico costume da diavolette, che dite?

Gli anime e i manga saccheggiano l’immaginario religioso da sempre. Neon Genesis Evangelion ne è l’esempio più lampante. Death Note usa continuamente riferimenti ad Adamo ed Eva e alla Genesi: si vedono immagini della Vergine Maria e croci nella sigla e in tonnellate di episodi, solo per fare un esempio. Il personaggio più amato muore letteralmente come Gesù!

E i videogiochi giapponesi non sono da meno. Nier Automata, da quanto ne so, è fortemente ispirato alla religione ebraica, e non dimentichiamo il tema ricorrente del deicidio in Final Fantasy, spesso accompagnato da nomenclature e iconografie suggestive che richiamano il cristianesimo. E questo è perfettamente OK. Perché è un furto artistico deliberato, nato da innumerevoli artisti visivi giapponesi e mangaka che rimangono colpiti dalla bellezza dell’arte cristiana, obiettivamente senza pari, e la vogliono riprodurre nelle loro opere. Difficile che un disegnatore giapponese vedrà un arabesco, per quanto bello, negli Emirati e vorrà usarlo come boss finale di Final Fantasy, molto più probabile che da una scultura del Bernini d’altronde nasca la base visiva per un boss, una summon o l’arena di un picchiaduro. Mi rendo conto che l’arte figurativa cristiana sia l’ispirazione visiva per eccellenza, anche involontaria, talora.

La cosa più simile a un dio nel mondo di Final Fantasy X poteva essere tranquillamente abbattuta con un pallone e un frisbee.

Perché un giapponese può farlo, dunque? Perché la sua non è appropriazione culturale, né tanto meno mancanza di rispetto. Semmai è un sincero omaggio, figlio di una concreta e inevitabile lontananza geografica che tutela il creatore orientale dalle accuse di razzismo o pressappochismo. Al contrario, un graphic designer americano, figlio di un determinato contesto socio-culturale, può prendere l’iconografia di Gesù Cristo col cuore spinato, incorniciato dalle rose (purezza spirituale) e remixarla fino a farla diventare un personaggio da sparatutto contornato da pistole, sostituendo il cuore con una granata? Nessuno si è fermato per un attimo a pensare che accostare delle pistole a un simbolo associato alla pace possa risultare, quanto meno, inopportuno? Perché di simboli parliamo. E di persone che li rispettano. Badate bene, non penso che ci sia chiesto di rispettare il simbolo, né tanto meno di sentirlo nostro.

Ma, e questo è un principio della convivenza umana, dovremmo essere quanto meno rispettosi delle persone che credono in suddetto simbolo. Gearbox è stata decisamente furbetta, e di questo gliene do pienamente atto. Ma da persona che vive in un contesto di fede religiosa, no, non porterei mai una copia di quel gioco in casa mia, laddove invece non avrei problemi a spiegare a genitori e parenti un messaggio come quello di Bioshock Infinite o Neon Genesis Evangelion. Ho letto persino di gente che invita a leggere la cover come calata nel contesto narrativo del gioco: OK, allora possiamo fare un battle royale con dei maiali in tonaca nera, giustificarlo narrativamente con la lore di quel mondo (ehi, maiali venuti dallo spazio: awesome!) e sperare che nessuno lo prenda per un attacco alla religione organizzata? Ancora una volta, simboli: il nostro mondo si poggia su di essi.

Non ci è chiesto di rispettare il simbolo, né tanto meno di sentirlo nostro. Ma, e questo è un principio della convivenza umana, dovremmo essere quanto meno rispettosi delle persone che credono in suddetto simbolo

Interessante notare le posizioni giustamente difensive dei giocatori nostrani riguardo alla copertina di Borderlands 3, quasi a voler evocare un caso Calenda v. 2 o una nuova sparata di Libero, che non ci sarà perché, spoiler: non interessa a nessuno della cover di uno sparatutto. Gioco, per giunta, volutamente pensato per l’escapismo puro ed estraneo a ogni tipo di riflessione ulteriore: perché ovviamente parliamo di un bellissimo, magnifico Tripla A e non di un’avventura testuale fatta da un gruppo di attivisti. Per quanto l’idea sia romantica, non stiamo quindi combattendo la guerra che combattevano i metallari ai tempi di The Number of the Beast. Perché la canzone dei Maiden è un inno contro la violenza del satanismo e delle sette. La copertina di Borderlands 3 è d’altronde un eccellente e ironico esercizio grafico, scevro di critica sociale, e tutt’al più pensato per attirare anche chi ha scoperto l’ateismo e l’anticlericalismo l’altro ieri su Reddit. Marketing della miglior specie di compagnie che obiettivamente sanno il fatto loro.

In fondo siamo solo vittime. Siamo stati talmente bastonati dalla disinformazione che ormai la vediamo dappertutto, e ci ergiamo a protettori della cultura videoludica anche quando sarebbe interessante ragionare su altri punti di vista. Perché chiedersi se effettivamente la copertina di Borderlands sia offensiva non significa mettere in dubbio la legittimità espressiva del videogioco, bensì essere talmente convinti di tale dignità da sentirsi responsabili del contenuto che veicola il gaming. E il legittimo dubbio è fonte di ragionamento, di onestà intellettuale e, in ultima analisi, di tutto quello che ci rende migliori in quanto esseri umani. Per cui, è assolutamente lecito fare spallucce e non considerare offensiva la copertina di Borderlands 3. Ma se ignoriamo che possa esistere quanto meno l’esigenza di fare una discussione intorno a tale questione, be’, abbiamo un problema ben più grosso delle polemiche di qualche bigotto isolato.