Smettila di star sempre lì vicino! Finirai per rincitrullirti! E ancora: “Se non spegni quell’affare, vengo lì e te lo spacco!”. Una giornata più frustrante delle altre, la classica goccia che fa traboccare il vaso e dal semplice rimprovero si passa all’azione. Con conseguenze spesso tragicomiche.
Su Youtube e dintorni continuano a moltiplicarsi i video di genitori in preda ad incontrollabili crisi isteriche pronti a distruggere le console dei propri figli pur di richiamarli alla realtà. Scene di vita familiare dei nostri tempi, che evidenziano diverse problematiche in un’unica, micidiale combo. In primis, abbiamo ovviamente la dipendenza da videogame: un “male oscuro” che esiste – inutile far finta di no – che favorisce il progressivo distacco da una quotidianità sempre meno attraente. A seguire, l’incomunicabilità tra genitori e figli: due mondi separati da una barriera socio-culturale sempre più difficile da aggirare. Nel mezzo, un vuoto pressoché incolmabile di silenzi ed isolamento: il figlio che diventa via via un estraneo, se non addirittura un alieno; il padre che smette i panni di educatore per indossare quelli dell’inquisitore.
Unico imputato di un processo tanto sommario quanto superficiale, la console si ritrova in tal senso ad essere spesso condannata quale responsabile diretta del conflitto domestico e non come mero strumento attraverso cui molti adolescenti sfuggono al disagio: il classico capro espiatorio su cui far ricadere colpe che andrebbero ricercate evidentemente altrove. Per quanto divertenti (sempre se vissuti dall’esterno, NdR), i video virali che immortalano questa mattanza del silicio non sono probabilmente altro che lo specchio di un corto circuito generazionale di proporzioni ingenti, che riflette l’immagine di famiglie in cui si dialoga poco e ci si comprende anche meno.
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