Recensione Degrees of Separation

Ember e Rime vivono nello stesso mondo ma in realtà differenti. Sono vicini e allo stesso tempo lontani, separati da una barriera invalicabile. Degrees of Separation ci racconta la storia di questi due personaggi, sfruttando la coincidenza di due mondi in contrasto tra loro allo scopo di creare un concept molto interessante. Il titolo realizzato da Moondrop propone infatti dei puzzle ambientali che si servono intelligentemente delle meccaniche basate sulla convergenza delle realtà opposte in cui risiedono i due protagonisti. Andiamo a vederlo più nel dettaglio.

La fiabesca storia di Degrees of Separation è raccontata attraverso una voce narrante, la quale interviene spesso durante le fasi di gameplay per spiegare le emozioni e le sensazioni dei due protagonisti, nonché la storia del luogo che vanno ad esplorare. Essendo gli “stage” realizzati in modo da poter risolvere certi puzzle nell’ordine desiderato, la narrazione può in alcuni casi risultare incoerente in ciò che descrive, ma in generale si tratta comunque di un buon accompagnamento, che riesce ad enfatizzare ottimamente le difficoltà e i sentimenti di Ember e Rime. Più si scoprono meccaniche di gioco, più si viene a conoscenza di nuovi aspetti che caratterizzano il loro particolare rapporto, espressi chiaramente dalla narratrice.

[su_quote]

Ogni mondo è contraddistinto da una specifica meccanica di gioco che influenza i puzzle presenti in quell’area.

[/su_quote]

La struttura ludica dell’opera è basata su una sorta di hub di gioco, il castello, da cui è possibile accedere a diversi mondi. Ciascuno di questi è contraddistinto da una specifica dinamica che influenza i puzzle presenti in quell’area. Queste aggiunte contribuiscono a donare varietà al titolo, riuscendo bene nel far provare all’utente ogni volta un’esperienza differente. Anche gli stessi enigmi tengono alta l’attenzione dell’utente grazie a risoluzioni mai troppo banali e che richiedono anche una certa elasticità mentale (almeno quelli più avanzati). Nonostante questo, i rompicapi presentano troppo spesso gli stessi elementi ambientali, come corde su cui aggrapparsi, meccanismi da attivare, sfiati che spingono i personaggi verso una direzione precisa ecc. Sarebbe stata certamente più apprezzabile una maggior pluralità di situazioni, dato che anche le soluzioni tendono talvolta ad assomigliarsi.

Due realtà distinte, un’unica soluzione.

Ma quali sono queste due realtà in contrasto? Ember vive in un mondo caldo e accogliente mentre Rime in uno gelido, dominato da colori freddi. La prima è in grado ad esempio di muoversi sott’acqua, mentre il secondo non può far altro che camminare sulla sua superficie ghiacciata. Proseguendo nell’avventura le cose si modificheranno ad ogni funzionalità introdotta, nonostante i due rimangano legati principalmente alle loro rispettive condizioni. La collaborazione dei protagonisti è fondamentale, tanto che il gioco dà il meglio di sé in modalità cooperativa. In singolo il gioco funziona, ma presenta qualche piccolo problema. Ad esempio, l’IA non sempre vuole collaborare e può capitare, neanche troppo raramente, di essere costretti a fare lo stesso semplice percorso con entrambi i personaggi (normalmente si usa un tasto per richiamare chi non controlliamo). Inoltre, la telecamera non svolge sempre il suo lavoro alla perfezione, soprattutto nei casi in cui distanziamo troppo Ember e Rime.

[su_quote]

Il gioco viene incontro ad ogni tipo di giocatore, sia chi vuole godersi uno scorrere fluido dell’avventura che i completisti più avidi.

[/su_quote]

Per proseguire nel gioco e sbloccare le varie aree è essenziale raccogliere un certo numero di sciarpe, oggetti che assumono nel titolo anche il ruolo di collezionabili. Rappresentando esse il premio finale di ogni puzzle, ne consegue che non è obbligatorio risolvere tutti gli enigmi che ci troviamo davanti e che è quindi possibile saltare quelli che creano maggiori difficoltà, per tornarci poi in un secondo momento tramite comodi punti di teletrasporto. Si tratta di un ottimo modo per venire incontro a tutti i tipi di giocatore, sia chi vuole godersi uno scorrere fluido dell’avventura, sia i completisti più avidi. Questi ultimi vengono però inevitabilmente rallentati da un sistema di tracciabilità degli extra (ovvero delle sciarpe lasciate indietro) non tra i più pratici. Essi vengono rappresentati come delle stelle nel cielo le quali, oltre a confondersi spesso con i fondali, non fanno capire agevolmente quali collezionabili abbiamo tralasciato.

Il ponte tra i due personaggi rappresenta una delle meccaniche di gioco presenti in un’area, ma è anche una metafora che descrive il loro rapporto.

Per quanto possa dipendere dai gusti di chi si approccia al titolo, stilisticamente Degrees of Separation si dimostra abbastanza gradevole. La convergenza delle due atmosfere opposte crea giochi di luce interessanti e propone inoltre diversi modi di vedere lo stesso luogo, con colori piacevoli che variano di continuo. Forse le animazioni dei personaggi possono risultare un po’ datate e un po’ macchinose, tuttavia ciò non influisce minimamente sulla godibilità del gameplay. Per quanto riguarda l’accompagnamento sonoro, l’opera può vantare tracce molto orecchiabili, le quali di frequente lasciano però spazio al silenzio, cosa giustificabile in un prodotto di questo tipo.

Riassumendo, Degrees of Separation è un gioco in cui pregi e difetti si equilibrano. Esso vanta un concept originale, enigmi complicati, varietà di meccaniche, uno stile apprezzabile e una trama semplice ma efficace. Pecca però in dettagli come la tracciabilità dei collezionabili, l’IA non perfetta, una telecamera non sempre precisa e animazioni un po’ datate. È comunque un titolo che consigliamo per la sua principale particolarità, soprattutto a chi è in cerca di videogiochi rilassanti ma che richiedono un certo impegno mentale.

V MENSILE
V007 Mensile