Se nello scorso mese avevamo parlato del primo capitolo di Ghostbusters (in occasione dell’uscita del terzo film), oggi affronteremo una delle pellicole piรน iconiche del mondo hollywoodiano: ci riferiamo a Psycho, opera del 1960 diretta da Alfred Hitchcock, noto a tutti con l’appellativo di “maestro del brivido”, e scritta da Joseph Stefano (Orchidea nera, Un giorno da ricordare). Ma cosa rende il lungometraggio cosรฌ indimenticabile? Prima di addentrarci nell’esegesi del prodotto, รจ opportuno spendere qualche parola sull’autore dietro la realizzazione. Hitchcock รจ infatti unanimemente considerato uno dei piรน grandi esponenti in materia di film, e il suo nome รจ nell’Olimpo delle piรน grandi figure che hanno servito degnamente la settima arte, dedicando tutto sรฉ stesso al lavoro. Il suo spirito riecheggia in pellicole del calibro de La finestra sul cortile, La donna che visse due volte, Vertigo e molti altri. Nonostante ciรฒ, durante la sua carriera, non vinse mai un Oscar, eccetto uno speciale per il suo contributo di alto livello nell’industria. Detto questo, non sarร certo un trofeo o una statuetta a stabilire la genialitร e l’ingegno di personaggi del suo calibro, che saranno ricordati per molti anni a venire.
Passiamo ora alla valutazione vera e propria del thriller, che รจ stato di ispirazione per molti altri lavori successivi. La storia, un adattamento diretto dell’omonimo romanzo di Robert Bloch, vede come protagonista Marion Crane, una segretaria che dopo aver compiuto un furto sul posto di lavoro, fugge e finisce tra le grinfie di uno psicopatico, Norman Bates, proprietario di un motel dove la donna va a rifugiarsi. Non vogliamo svelarvi altro per non rovinarvi la visione, anche se vi possiamo assicurare che sono presenti una serie di colpi di scena notevoli all’interno del girato, ben calibrati e integrati nella narrazione. Fin dalle prime sequenze (anche prima dell’incontro tra la giovane donna e l’assassino), si avverte un senso di inquietudine persistente, evocato dal regista con alcuni stratagemmi tecnici tra i quali alcuni primi piani improvvisi della cinepresa e la presenza ossessiva degli specchi. Il pubblico, a causa di questi elementi, viene direttamente colpito dall’ansia e da un soffocamento interiore, reso ancora piรน forte dalle efficaci musiche di Bernard Herrmann, che esprimono molto bene la suspense. Tutto l’insieme delle caratteristiche appena citate rende giร i primi minuti estremamente interessanti, e non siamo arrivati nemmeno alla portata principale.
In tutta la parte successiva, dove il punto di vista si sposta sul villain, al timore si aggiunge la psicanalisi.
Il vero terrore e sgomento esplode infatti dal momento in cui ci imbattiamo nell’inquietante antagonista dell’avventura: i primi sguardi di Norman, rassicuranti e accomodanti in principio, diventano maligni e crudeli. Emblematica in tal senso รจ la scena nella quale il personaggio guardaย da un buco del muroย Marion, mentre si sta preparando per la nota scena della doccia: in quel frame capiamo cosa accadrร subito dopo, senza dover ricorrere a nessun artificio. In tutta la parte successiva, dove il punto di vista si sposta sul villain, al timore si aggiunge la psicanalisi. Inizia infatti un viaggio nella personalitร dell’omicida, complessa e sfaccettata, e cosรฌ ben delineata da risultare quasi affascinante. Oltre all’ottimo lavoro dello sceneggiatore, che ha confezionato uno script davvero notevole, i complimenti vanno all’estro del filmaker e al cast, in particolar modo ad Anthony Perkins e Janet Leigh. I due sono cosรฌ a loro agio nell’interpretazione da risultare in tutto e per tutto naturali in ogni loro gesto e dialogo. Gli spettatori, intenti nel guardare la realizzazione, vivranno direttamente il dramma delle figure. Quando il coinvolgimento raggiunge la platea e rompe la convezione della finzione, รจ fatta: il cinema diventa realtร , espressione diretta della vita e del tragico carico che la rappresenta.
Ma non รจ finita qui: per rendere un doveroso omaggio al progetto nella sua interezza non si puรฒ non menzionare l’utilizzo del bianco e del nero, una mossa apparentemente nostalgica (c’erano giร lungometraggi a colori), ma funzionale per comunicare perfettamente un messaggio ben preciso. Difatti, al di lร del gusto fotografico per i contrasti molti piรน accentuati con questa bicromia, le sfumature cosรฌ opposte e distanti giocano in uno scontro tra luce e oscuritร , tra bene e male, che ben evidenzia le contraddizioni dell’esistenza. Psycho รจ una di quelle pietre preziose che sfida le leggi del tempo e dello spazio: nonostante sia uscito quasi 60 anni fa, non รจ invecchiato minimamente, e continua a colpire in ogni suo dettaglio e sfaccettatura. Viviamo in un periodo in cui la critica abusa molto spesso della parola capolavoro: la sentiamo usare tantissimo, il piรน delle volte impropriamente. Sarebbe invece opportuno, qualche volta, tornare un po’ indietro, per osservare da vicino cosa ci sapeva regalare il cinema nel passato, che talune volte sfornava realizzazioni sinceramente degne di tale attributo. Il resto, purtroppo, รจ solo un tentativo di tornare a quei fasti gloriosi ma, d’altronde, come puรฒ una semplice moda scontrarsi con l’immortalitร ?