Recensione Astroneer

La storia dei sandbox spaziali è lunga e frastagliata, colma di esempi ben riusciti, ma anche di alti e bassi. Un vero e proprio universo composto da titoli che ancora oggi rimangono impressi nella mente e hanno conquistato un piccolo posticino nel cuore dei giocatori di tutte le età: parliamo della serie Elite (Acornsoft), Kerbal Space Program (Squad) o anche esperimenti multigiocatore di successo come EVE online (CCP Games). Proprio oggi, un titolo relativamente nuovo e particolare esce dalla fase di accesso anticipato e noi di VMAG lo abbiamo provato in anteprima nella sua versione definitiva, analizzandolo sotto molteplici punti di vista. Stiamo parlando di Astroneer, l’opera sandbox spaziale sviluppata da System Era Softworks e distribuito originariamente su PC nel 2016. Oggi, dopo 3 anni, lo vediamo finalmente nella sua versione definitiva, aggiungendo anche l’edizione Xbox One ma, sfortunatamente, non priva di difetti. Eccovi la nostra recensione.

Astroneer non dispone di una vera e propria trama, ma offre al giocatore un canovaccio di partenza dal quale dovrà imparare, facendosi strada per raggiungere la fine del gioco. Il motore propulsivo dell’opera ruota intorno all’esplorazione di un fittizio sistema stellare composto da sette pianeti: Sylva, Desolo, Calibro, Vesania, Novus, Glacio e Atrox, il cui paesaggio verrà generato proceduralmente ad ogni nuova partita. Lo scopo dell’utente, che verrà chiamato a indossare i panni del suo alter ego astronauta, sarà quello di visitare tutti e sette i pianeti attraverso una difficoltà incrementale, imposta dai corpi celesti stessi. Ogni pianeta infatti sarà più arduo del precedente, offrendo sempre meno minerali, fondamentali per la nostra sopravvivenza, ma aumentando i pericoli e le impervie. All’inizio di ogni partita di Astroneer, il giocatore verrà dotato di due elementi fondamentali: il primo consiste in una base dove sarà possibile salvare lo stato del gioco, installare potenziamenti e fornire elettricità alle diverse tecnologie (che andranno collegate tramite un cavo apposito), come ossigeno al giocatore entro un breve raggio d’azione. Il secondo invece riguarda una pista d’atterraggio dove potremmo richiamare tre componenti fondamentali per iniziare al meglio il nostro viaggio: un ossigenatore, in grado di generare ossigeno appunto, una piattaforma di partenza, sulla quale potremmo costruire tutte le diverse tecnologie, e per ultimo, ma non meno importante, una stampante media di partenza, che ci permetterà di creare le diverse tecnologie sfruttando materiali base trovati in giro per la mappa.

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Qui la prima difficoltà viene imposta dall’unico elemento di sfida iniziale, ovvero la totale assenza di ossigeno.

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Il primo corpo celeste dove atterreremo una volta avviata una nuova partita sarà Sylva, un piacevole planetoide lussureggiante, colmo di vegetazione e minerali utili per la nostra avventura, e qui la prima difficoltà viene imposta dall’unico elemento di sfida iniziale, ovvero la totale assenza di ossigeno. Sarà compito del giocatore costruire determinati paletti che, una volta piantati nel terreno e messi in collegamento tra loro, permetteranno al player di avventurarsi nel primo vasto paesaggio procedurale a caccia di minerali, detriti di rottami e misteriose strutture aliene. Sempre collegati alla nostra scorta di ossigeno tramite un cavo.

Possiamo vedere la base del giocatore collegata a diverse tecnologie.

La nostra vita verrà messa in pericolo quando, a discrezione del giocatore, ci ritroveremo staccati dalla fonte di ossigeno e avremo solo un breve lasso di tempo per esplorare velocemente ogni anfratto, tornando nella nostra zona sicura prima del completo prosciugamento del serbatoio d’aria montato sulla nostra tuta spaziale: se sfortunatamente ci ritroveremo a corto di ossigeno, e troppo lontani dal punto di ricarica, allora andremo incontro al fatidico Game Over. Una volta morti ci ritroveremo nella nostra base e, privati di tutto l’inventario trasportato al momento del decesso, dovremo recuperarlo una volta raggiunto il luogo della nostra ultima morte. Per fare un esempio, questa meccanica ricorda molto il recupero delle anime visto nella serie di Dark Souls o il sistema dell’inventario in No Man’s Sky. Se però la morte tornerà a farci visita prima di aver recuperato il nostro precedente inventario, allora questo andrà perduto per sempre. L’intero fulcro di Astroneer ruota intorno alla raccolta di minerali dai diversi pianeti e alla costruzione di equipaggiamento sempre più complesso e diversificato, per poter esplorare e passare al mondo successivo.

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Il nostro unico compagno di viaggio, nonché strumento fondamentale per quasi tutte le operazioni richieste, sarà l’enorme estrattore di minerali che ci porteremo dietro per la durata dell’avventura.

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Proprio questa dell’esplorazione è una meccanica non del tutto riuscita che, alla lunga, risulta sicuramente monotona e ripetitiva portando conseguentemente ad annoiare il giocatore che, una volta appreso tutto nelle fasi iniziali, si ritroverà a compiere sempre le stesse tre azioni in un ciclo infinito. Prendi il minerale, usalo per costruire equipaggiamento, migliora l’esplorazione: una serie di comandi che, sulla lunga tratta, minano l’esperienza ludica. Questa meccanica costituisce quasi la totalità di gioco, che viene comunque resa varia da poche opzioni insufficienti per compensare la monotonia dell’intera opera. Parliamo di semplici aggiunte al gameplay, come la scansione di particolari piante o elementi della mappa per ottenere bytes, che ci serviranno per sbloccare equipaggiamento supplementare, oppure il recupero di tecnologia funzionante da rottami di veicoli spaziali sparsi per il terreno. Il nostro unica compagno di viaggio, nonché strumento fondamentale per quasi tutte le operazioni richieste, sarà l’enorme estrattore di minerali che ci porteremo dietro per la durata dell’avventura. Si rivelerà infatti utile per scavare o creare porzioni di terreno, estraendo tutti quei minerali e materiali fondamentali per la costruzione di equipaggiamento utili per la nostra sopravvivenza. Da evidenziare l’incredibile potenza standard dello strumento, in grado già da subito di scavare profondi pozzi e buche a una velocità impressionante. Per ogni azione che decideremo di eseguire con il mezzo, saremmo obbligati a equipaggiarlo adeguatamente con la giusta tecnologia o materiale richiesto. Il nostro secondo, e ultimo, compagno di viaggio perenne consiste nello zaino della tuta spaziale che fungerà da inventario e sarà in grado di produrre oggetti elementari con l’uso di equipaggiamento apposito. Inoltre potrà essere adornato da una tecnologia variopinta che, una volta installata, sarà in grado di semplificare determinati aspetti della partita, come ampliare la nostra scorta di ossigeno, produrre elettricità e altri utilizzi simili.

Lo zaino della nostra tuta spaziale che funge da inventario

Astroneer dispone di una modalità a giocatore singolo, ma anche di multigiocatore online dove potremmo esplorare il sistema insieme ai nostri amici. Questo comporta una longevità maggiore, insieme a un altrettanto gradito livello di divertimento ma che, sfortunatamente, si farà notare per i motivi sbagliati. La nostra esperienza multiplayer è stata a dir poco un’odissea spaziale, con continui problemi legati ai server che portavano un crash totale del gioco e che, scomparendo dalla partita, faceva perdere irrimediabilmente tutti i progressi fatti fino a quel momento. Saremo costretti a riavviare spesso il software per poi subire lo stesso trattamento pochi minuti dopo: una tragica ironia. Tutti gli oggetti creati da uno dei due utenti potranno essere utilizzati da chiunque, facilitando in questo modo l’intera esperienza. Il comparto multiplayer, pieno di difetti e problemi tecnici, non ha un vero e proprio scopo utile a portare a termine il gioco, se non quello di esplorare in compagnia. Uno degli elementi sicuramente più graditi dell’intero Astroneer consiste nell’aspetto grafico e nella scelta stilistica presa nel creare e rappresentare il mondo (o mondi) virtuale.

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Nello stesso contesto possiamo parlare dei suoni che, nella loro moltitudine, risultano sempre coerenti con le situazioni di gioco e le condizioni atmosferiche rappresentate nei determinati momenti.

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Una particolarità permea l’intera opera e, sorprendentemente, riesce ad armonizzarsi pienamente nel gioco: parliamo della totale assenza di texture, rimpiazzate “solamente” da colori. Il terreno, così come il cielo, l’equipaggiamento e tutto ciò che è possibile vedere a schermo, è decorato semplicemente da una vasta palette cromatica che, insieme ad un’attenta scelta nell’uso delle sfumature, riesce a rendere realistico e vivo un ambiente relativamente vuoto: uno dei pochi attimo di pura estasi dell’intera opera. Anche i suoni, veramente una moltitudine, risultano sempre coerenti con le situazioni di gioco e le condizioni atmosferiche rappresentate in determinati momenti. Un’ottima aggiunta riguarda anche la personalizzazione del personaggio, che spazia dalla scelta della tuta spaziale al colore preferito, sino alla visiera del casco. Una mera resa estetica, totalmente inutile ai fini del gameplay, ma che risulta comunque una nota gradita. L’ottimo uso della tecnologia procedurale in grado di rendere diverso l’inizio di ogni partita è una delle colonne portanti dell’universo immaginifico rappresentato. La dinamicità di alcuni elementi a schermo, tra cui il cielo stellato, rende delizioso alzare gli occhi al cielo per osservare il turbinio di pianeti, nuvole e stelle. Sfortunatamente, però, questi aspetti positivi vengono superati da quelli negativi che, in numero maggiore e più significativi, vanno a inficiare su quasi tutta la durata dell’avventura. Parliamo dei numerosi difetti tecnici legati alla modalità multigiocatore, e della folle impostazione dei comandi, sia su tastiera che su joypad, del tutto confusionaria e ostica. Il tutorial è scarno e carente in tutti gli aspetti: vengono mostrate solo le vere basi delle modalità di gioco ma viene omesso qualsiasi elemento aggiuntivo in grado di rendere vivo e movimentato l’ambiente, non rendendo giustizia alle succulenti condizioni atmosferiche. La difficoltà è sicuramente sopra la media, ma passa in secondo piano a causa dell’eccessiva monotonia e ripetitività delle meccaniche di gioco. Speriamo in futuri aggiornamenti e correzioni. 

Astroneer è un titolo sicuramente particolare, in grado di rendere felici gli amanti del genere e regalare del puro e sano divertimento, a discapito però della repentina curva di monotonia e ripetitività che porta alla noia. Ottimo per quanto riguarda grafica e sonoro, ma povero nell’ambito nel bilanciamento delle diverse meccaniche. Consigliato solamente agli amanti del genere sandbox e dell’esplorazione spaziale, sazia tutti coloro che non richiedono azione e divertimento immediato o frenetico. Speriamo che possa far divertire molti di voi e che, malgrado i suoi innumerevoli difetti tecnici, riesca nel tentativo di conquistare un posticino nel cuore dei suoi giocatori. Ricordiamo che Astroneer è disponibile da oggi nella sua versione definitiva per PC e Xbox One. Vi auguriamo buon viaggio nel colorato cosmo dell’opera!