1991 – L’universo dei beat ‘em up a scorrimento – chi ha vissuto in prima linea la Golden Age del gettone ne sa qualcosa – non si riduce ai soli giganti del settore quali Final Fight e Double Dragon. Intorno a questi colossi orbitavano numerose produzioni di buon livello che, a fronte di un richiamo mediatico magari inferiore, riuscirono comunque a catturare l’interesse degli appassionati. Tra queste, spiccò ad esempio il tozzissimo Crude Buster della Data East: un rullakartoni di grande impatto visivo, che si guadagnò il suo bel quarto d’ora di celebrità anche e soprattutto in virtù di un grado di sfida così elevato da favorirgli la fama di avido succhiagettoni.
Ambientato in un 2010 che all’epoca della sua uscita doveva far tanto “futuro remoto”, il gioco approcciava il genere sfruttando le medesime prerogative strutturali di un classico pregresso quale Bad Dudes Vs. Dragon Ninja: piuttosto che spaziare lungo la profondità di scenari idealmente “tridimensionali”, l’alter ego dell’utente si sarebbe in tal senso spostato lungo un unico asse orizzontale, sfruttando eventuali praticabili per accedere a sezioni più elevate degli stessi. Forte di un set di animazioni davvero ricco, il nerboruto mattatore della produzione avrebbe avuto a sua disposizione un ventaglio di colpi piuttosto nutrito, nonché l’opportunità di trasformare in arma quasi tutti gli elementi propri di fondali straordinariamente interattivi.
Se rapportate al corposo quantitativo di ostili cui far fronte, dette caratteristiche favorivano un flusso d’azione alquanto esuberante, ma non per questo immune ad eventuali critiche. Complice una videata di gioco forse troppo striminzita per contenerne l’irruenza grafica, il titolo firmato da Akira Ohtami poteva in effetti risultare troppo caotico e ancor meno incline a favorire tatticismi di sorta.
Ad eccezione dei puristi che, giusto a riguardo, lamentavano il costante rischio di perdere vite senza avere l’effettiva facoltà di far fronte agli attacchi dei nemici, Crude Buster venne in ogni caso accolto con entusiasmo da molti appassionati, guadagnandosi anche una ricca conversione su Megadrive, dove approdò con quel monicker di Two Crude Dudes che ne esaltava la sezione multiplayer. Malgrado i possessori della storica 16Bit Sega gli abbiano sempre preferito Streets of Rage, è parere diffuso che quest’ultimo ne abbia costituito l’unica reale alternativa: non è pertanto difficile intuire come mai la rispettiva cartuccia vanti, ad oggi, un certo seguito tra retrogamer di ogni età.