Chi è appassionato di videogiochi avrà certamente sentito parlare almeno una volta di Hideo Kojima, di Metal Gear Solid o di un certo Solid Snake. Chi, invece, sa già di cosa stiamo parlando, saprà anche che questi nomi vanno sempre associati a una sola parola: leggenda. La storia della serie di Metal Gear non può essere ricondotta appieno a quella dei videogames, ma rappresenta senza ombra di dubbio un’opera miliare nel settore. Sin dalle sue radici, quella di Hideo Kojima è una saga che è riuscita a sorprendere sempre, in un modo o in un altro, e a mantenere altissime le aspettative dei giocatori.
La nascita (Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake)
La serie ha radici molto più vecchie di quanto in tanti credano. Nasce molto prima di Metal Gear Solid per PlayStation 1, quando un giovane Hideo Kojima abbandona gli studi di economia per sviluppare giochi per conto di Konami. Gli venne affidato il compito di produrre un titolo di guerra, cosa che fece, ma andando in una direzione opposta all’approccio offensivo: in Metal Gear il protagonista Solid Snake doveva infiltrarsi nella base nemica senza farsi scoprire. Se l’utente si fosse lanciato a capofitto verso i soldati, avrebbe rischiato di farsi sconfiggere facilmente. Non solo questo, ma anche il comparto narrativo, il level design e i personaggi caratterizzati ad arte garantirono un successo immediato per l’opera. Inutile dire che Konami non perse tempo nel produrre un seguito, ma senza la direzione di Kojima, chiamato Snake’s Revenge. Questo non riuscì a cogliere l’essenza del precedente capitolo, tanto che il Producer del gioco chiese personalmente a Hideo di sviluppare un vero e proprio sequel. Com’è lecito aspettarsi, Metal Gear 2: Solid Snake superava il predecessore in tutto: la trama era molto più complessa, il gameplay più vario e la grafica maggiormente definita.
Pura perfezione (Metal Gear Solid)
Non ci volle molto prima che Kojima si rimise al lavoro sulla serie, affascinato dalla potenza delle nuove console. Proprio sulla prima macchina da gioco di Sony, nel 1994 il Game Designer cominciò a produrre il prossimo capitolo della serie. Il progetto dal nome in codice “Metal Gear 3” divenne Metal Gear Solid per tre motivi principali: per riferirsi al protagonista, Solid Snake; per accentuare il passaggio della saga alla tecnologia 3D di PlayStation; e per sottolineare come questo sarebbe stato un titolo completamente nuovo e distaccarlo dai precedenti. Con una campagna marketing particolarmente aggressiva, dal costo di 8 milioni di dollari, Metal Gear Solid fu un successo planetario e tutti, dalla critica specializzata ai consumatori finali, erano rimasti folgorati dalla grandezza del gioco di Hideo Kojima. Il titolo rompeva ogni schema conosciuto finora: introduceva sequenze incredibilmente cinematografiche, dialoghi doppiati, una storia complessa, una qualità grafica ai limiti del miracolo e un game design ancora oggi unico. Non mancavano occasioni in cui la quarta parete veniva rotta, lasciando a bocca aperta davanti lo schermo chi teneva il controller in mano, che si chiedeva come fosse possibile che un gioco raggiungesse tali livelli di interazione. Il motivo per cui ancora oggi viene ricordato come uno dei titoli più belli di sempre va ricercato in diversi aspetti. Prima di tutto, va fatto notare come tutti i personaggi, disegnati dall’incredibile mano di Yoji Shinkawa, abbiano una loro personalità che li contraddistingue e che offre loro una posizione specifica all’interno della trama: Solid Snake rappresenta un eroe che rinnega questo titolo, che fa di tutto per evitare di uccidere e che ha anche dei punti deboli, tra cui Meryl Silverburgh che si mostra come una ragazzina alle prime armi, che vuole essere forte ma che presto scopre gli orrori della guerra. Anche i vari boss sono realizzate ad arte. Non possiamo non citare Psycho Mantis, che con i suoi poteri psichici leggeva i dati nella nostra memory card e faceva muovere il controller; la bella Sniper Wolf, lo stesso Metal Gear REX e il misterioso Gray Fox. Gli ambienti, peraltro, erano sempre diversi e tornare indietro per entrare in una stanza non visitabile precedentemente (in perfetto stile Metroidvania) non è mai confusionario.
Il sequel più sottovalutato (Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty)
Fu proprio Metal Gear Solid a mettere Hideo Kojima sotto le luci dei riflettori: l’uomo era diventato uno dei più grandi Game Designer di sempre e ormai era suo compito produrre un sequel che potesse soddisfare le aspettative dei fan. Konami poteva offrire al team di sviluppo un budget di ben 10 milioni di dollari, abbastanza elevato per spingere il nuovo Metal Gear ben oltre il primo capitolo. Il livello di realismo era incredibilmente superiore: i nemici erano più intelligenti, ma potevamo sparare a braccia o gambe per immobilizzarle, alle radio per distruggerle o agli estintori per fuggire, per fare degli esempi. Anche le sequenze cinematografiche erano di una qualità migliore e, grazie alla potenza di PlayStation 2, era finalmente possibile definire i volti, creare animazioni più efficienti e spingere la grafica su un livello mai visto prima. Quando venne mostrato il primo trailer il pubblico gridò al miracolo, ma dopo che venne rilasciato nel novembre del 2001, la critica specializzata e gli appassionati tirarono somme molto discordanti su Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty. Il motivo principale per cui i fan criticarono questo titolo era un personaggio inedito, Raiden. Ai loro occhi, infatti, il ragazzo biondo era troppo diverso da Solid Snake in quanto era un principiante letteralmente alle prime armi e che mostrava spesso un carattere debole rispetto quello del soldato mercenario. Tuttavia, l’idea di Hideo Kojima era esattamente questa: tutto ciò che riguardava il titolo, dal sistema di progressione ai personaggi, fino ad arrivare addirittura ad alcuni eventi della trama, doveva rappresentare una versione alternativa del primissimo Metal Gear Solid. Per non fare spoiler non vi racconteremo come questo “copiare” il predecessore si sposa alla perfezione con la scioccante parte finale di Metal Gear Solid 2, ma vi assicuriamo che, quando ci si rende conto di qual’è la grandissima metafora dietro l’esistenza di Raiden e le vicende di Big Shell (dove ha luogo il gioco), si capisce anche quanto effettivamente questo capitolo sia sottovalutato. Ma, nonostante queste analogie, la stampa videoludica ha nominato Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty come uno dei migliori giochi stealth mai rilasciati su PlayStation 2, almeno fino all’arrivo del terzo capitolo.
Il capolavoro (Metal Gear Solid 3: Snake Eater)
Siamo in una foresta russa nel bel mezzo della Guerra Fredda: nei panni di quello che diverrà Big Boss, colui che è sempre stato il principale antagonista dei primissimi Metal Gear (quelli per MSX), dobbiamo infiltrarci nella base nemica per distruggere un’arma capace di lanciare una testata nucleare da qualsiasi terreno. Missione finale: il giovane Snake deve uccidere con le sue mani il suo maestro, mentore, madre, compagna e molto più. Metal Gear Solid 3: Snake Eater, quando venne rilasciato su PlayStation 2 nel 2004, rappresentò l’apice delle produzioni di Hideo Kojima. Il gioco era ambientato nella foresta, diversamente da quanto visto nei primi due titoli. Il mondo che circonda l’utente è più vivo che mai: ci sono topi nelle fogne, pesci e coccodrilli in acqua, e tipologie diverse di serpenti a seconda dell’ambiente. Anche il gameplay si evolve, introducendo il CQC, complesse tecniche di combattimento ravvicinato che consentivano di interrogare i nemici, sconfiggerli silenziosamente o di ottenere oggetti da loro. Ma la vera novità sta nella trama: ora più complessa, interessante, coinvolgente al punto di far piangere tantissimi durante il finale e spudoratamente ispirata ai film di James Bond. La grandezza di Metal Gear Solid 3: Snake Eater va identificata proprio nella sua perfezione assoluta. Era un gioco che metteva seriamente alla prova l’utente, che lo immergeva completamente all’interno di una trama coinvolgente come poche altre. Le musiche ricordava a volte i film western e la grafica riusciva a rappresentare in modo maestrale i luci e i colori della foresta. Snake Eater riprendeva il game design e il sistema di progressione dei due predecessori, di per sé già ottimi, ma li migliorava in tutto, gettando le basi per quello che sarebbe stato uno standard nella serie. Ciliegina sulla torta, all’interno di una versione rivisitata chiamata Metal Gear Solid 3: Snake Eater – Subsistance si trovava una prima edizione di Metal Gear Online, in cui i giocatori potevano sfidarsi in deathmatch, già sulla PlayStation 2. Le vendite, tuttavia, furono ampiamente inferiori a quelle del secondo capitolo, motivo per cui molti pensarono che quella di Metal Gear Solid sarebbe rimasta una trilogia. La storia ci insegna che non è quello che non andò così.
Il cinematico gran finale (Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots)
Nel 2008, su una primordiale PlayStation 3, Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots presentava al giocatore un Solid Snake diverso da quello che avevano visto nel primo capitolo. Il soldato mercenario è invecchiato a causa di un virus e sta per morire a breve. L’atmosfera, decisamente più cupa, portava l’utente in un mondo perennemente in guerra, in cui la tecnologia ha letteralmente il controllo sull’economia bellica e sulla stessa società. Il protagonista, che stavolta prende il nome di Old Snake, deve di nuovo lanciarsi controvoglia sul campo di battaglia per sconfiggere un nemico invincibile, ovvero il passare del tempo. La trama di Metal Gear Solid 4 è più coinvolgente che mai: la qualità grafica è eccelsa, le luci e le texture perfettamente definite, le animazioni realistiche e le sequenze video più lunghe mai viste nella serie. Ma è proprio questo il principale difetto del titolo, che lo portano addirittura a vincere un Guinness World Record per avere la sequenza cinematografica più lunga mai vista in un videogioco. Il finale, infatti, dura la bellezza di 71 minuti. Per quanto riguarda il gameplay, in Guns of the Patriots è possibile approcciarsi in modi diversi al nemico: ci viene offerta la possibilità di infiltrarci senza farci notare oppure di scegliere un avanzamento più offensivo. Peraltro, il sistema stealth ha ricevuto un miglioramento quasi esagerato, dato che era possibile scoprire la posizione dei nemici in base alla direzione del vento o di rami spezzati. Si può addirittura capire chi stiamo seguendo a seconda della forma delle impronte delle scarpe, visualizzare e alterare le emozioni dei soldati e molto altro ancora. Cronologicamente parlando, Metal Gear Solid 4, che è ambientato nel 2014, è il capitolo conclusivo della serie. Vediamo il ritorno di quasi tutti i personaggi che hanno fatto la storia della saga, chi in un modo, chi un altro. Raiden, ad esempio, non è più il ragazzino spaventato che abbiamo scoperto nella fine di Metal Gear Solid 2, ma è divenuto un ninja cyborg amatissimo dai fan, tanto da ricevere uno spin-off canonico a lui dedicato, ovvero Metal Gear Rising: Revengeance. Questo capitolo, che Hideo Kojima voleva come l’ultimo della serie, rappresenta il gran finale della saga, divenendo un perfetto tributo e omaggio per tutto ciò che Metal Gear è stato fino a quel momento. Tuttavia, pochi anni più tardi, Kojima Productions si trovò allo sviluppo di un nuovo gioco.
Una ventata d’aria fresca (Metal Gear Solid: Peace Walker)
Nel 2010 Konami rilascia Metal Gear Solid: Peace Walker su PSP, sequel diretto di Snake Eater e con protagonista un Big Boss che non vuole accettare il titolo che ha ottenuto durante il finale di Metal Gear Solid 3. Il titolo riprendeva molte delle meccaniche già viste nel precedente Guns of the Patriots e le riadattava egregiamente sul piccolo schermo della console portatile di Sony. Il Game Director rivelò di essersi ispirato alla serie di Monster Hunter per realizzare le boss fight, il sistema di avanzamento tra livelli e la selezione di missioni. Apprezzò così tanto la serie di Capcom che decise di inserire il Rathalos, il mostro più iconico di Monster Hunter, come avversario segreto. Le sequenze video non erano più cinematografiche, ma somigliavano più a una visual novel: adesso le vicende venivano narrate attraverso dei fantastici fumetti, spesso interattivi. Il gameplay, oltretutto, si arricchiva con un sistema di gestione della Mother Base, un luogo che permetteva di sviluppare armi e oggetti, organizzare un esercito e prendere parte a missioni in cooperativa online. Metal Gear Solid: Peace Walker risultò essere tutt’altro che “un semplice gioco su PSP”. Fu una ventata d’aria fresca per la saga, in quanto ne riprendeva le meccaniche, semplificandole ma mantenendolee comunque molto apprezzabili. Presenta una grande quantità di contenuti e profondità di gameplay, tanto che il team stava valutando di rinominarlo “Metal Gear Solid 5”. Tuttavia, ci sarebbero voluti altri quattro anni per l’arrivo del quinto capitolo.
L’inizio della fine (Metal Gear Solid V: Ground Zeroes)
Durante la GDC 2012, Konami e Kojima Productions rivelano al mondo di star lavorando a Metal Gear Solid V: Ground Zeroes, un capitolo breve (forse troppo) che continuava le vicende di Big Boss e che, al contempo, faceva da prologo per qualcosa di più grande. Ground Zeroes introduceva un nuovo approccio alla saga, dando all’utente una varietà strategica senza pari e mai vista prima in un Metal Gear. Tuttavia, era un solo, brevissimo episodio, che durava poco più di un’ora e mezza, motivo per cui è stato molto criticato dalla stampa specializzata. Lo stesso anno accadde qualcosa di insolito: un team chiamato Moby Dick Studios, guidato da un certo Joakim Mogren, stava lavorando a un gioco chiamato “The Phantom Pain”. Nel trailer che rilasciarono ci furono molti dettagli che lasciavano pensare che quello fosse in realtà un nuovo Metal Gear, in quanto il protagonista somigliava a Big Boss e il nome “Joakim” era l’anagramma di “Kojima”. Durante la GDC del 2013 Hideo Kojima apparve sul palco di Konami, rivelando che quella campagna marketing era tutta uno scherzo e che il prossimo capitolo in arrivo era proprio il nuovo Metal Gear Solid.
L’addio di Big Boss (Metal Gear Solid V: The Phantom Pain)
Quando venne rilasciato il 1 settembre 2015, Metal Gear Solid V: The Phantom Pain portò i giocatori in un enorme sandbox, pieno di missioni, con tantissima varietà tattica e armi, oggetti, veicoli e assistenti in abbondanza. C’è anche un sistema di gestione della base molto simile a quello di Peace Walker che estende di molto la longevità complessiva. La qualità grafica era incredibilmente realistica, così come le sequenze animate: stolta vennero utilizzati attori reali, come Kiefer Sutherland nei panni di Snake, scelta che ha reso il comparto narrativo di The Phantom Pain ancora più profondo e plausibile. Tuttavia, Kojima ha tentato di accorciare la durata di queste parti, finendo, però, col renderle eccessivamente corte. Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, accade qualcosa di inaspettato, che ha un impatto pesantemente negativo sullo sviluppo: i rapporti tra Konami e Kojima si inaspriscono al punto di portare la compagnia a chiudere lo studio. Per questo motivo, Metal Gear Solid V: The Phantom Pain presenta evidenti buchi nella trama e, di fatti, non ha un vero e proprio finale. Tuttavia, Kojima sapeva bene che quello che stava accadendo avrebbe letteralmente ucciso la serie, e per questo ha deciso di fare un gesto che ha sconvolto l’intera community. Il finale del gioco, cioè l’ultima sequenza video, è un vero e proprio messaggio in cui Kojima, rappresentato da Big Boss, ringrazia i fan e conclude magistralmente la saga con il mitico protagonista della stessa che dice “D’ora in poi, tu sei Big Boss”, come se stesse passando la fiaccola a coloro che hanno amato Metal Gear da sempre. Non a caso, proprio in quel momento scopriamo che il finale di The Phantom Pain è collegato segretamente a quello del primissimo Metal Gear.
Per parlare di quello che Metal Gear è e di ciò che rappresenta andrebbe detto molto altro. La grandezza di questa serie, così come del genio di Hideo Kojima, non sembra avere limiti. Negli anni ha avuto certamente momenti di difficoltà, ma è sempre riuscita a sorprendere, in un modo o in un altro. Per tanti, la serie di Metal Gear Solid è semplicemente troppo complessa, difficile da capire, ma la verità è che bisogna sempre interpretarla come un’enorme metafora. I suoi personaggi e le storie che li circondano, le musiche e le ambientazioni, tutto in Metal Gear è il prodotto di un uomo che non può più esprimersi attraverso le parole di uno dei personaggi più amati di sempre. Il finale di The Phantom Pain, tuttavia, invoglia i fan a non dimenticare mai ciò che hanno vissuto fino ad allora come Big Boss stesso, ovvero Kojima, ci ha chiesto di fare. “Un’altra missione, vero Boss?”
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