Dopo più di un anno di assenza, torna la rubrica 8mm, che racconta alcuni dei film più importanti della storia del cinema. Nella quarta puntata avevamo parlato della pellicola d’esordio di uno dei più controversi registi del mondo, David Lynch, che con il suo Eraserhead sfornò un esperimento cinematografico di notevole impatto. Il fascino delle sue opere deriva dall’amalgamarsi di mistero e colpi di scena unici. Oggi torniamo a parlare dello stesso filmaker, affrontando un altro suo lavoro che ha decisamente cambiato il medium, anticipando una serie di tematiche presenti nei successivi lungometraggi dell’autore. Stiamo parlando di Velluto blu (Blue Velvet) del 1986, scritto e diretto dall’artista di Missoula.
L’opera, prodotta dall’italianissimo Dino De Laurentiis, è costituita da un campionario di stilemi che saranno ripresi dal cineasta nella serie degli anni 90′ Twin Peaks: ad esempio una cittadina apparentemente normale, che nasconde un velo di malvagità e corruzione. A questa si aggiunge un protagonista (interpretato da Kyle MacLachlan) con delle spiccate doti investigative e una serie di immagini ricorrenti come i pettirossi e il legname, che racchiudono un simbolismo ben preciso.
Se inoltre consideriamo anche quella tipica atmosfera onirica e surreale, presente anche in Mulholland Drive, Strade Perdute e Cuore Selvaggio, ci rendiamo conto che l’importanza di questa realizzazione va oltre la sua qualità individuale, raggiungendo una sorta di Summa Lynchiana. In quest’ultima confluiscono tutti i messaggi, le idee e i concetti che rendono il creatore così trascinante ed ermetico agli occhi del suo pubblico.
La certosina scrittura di alcuni personaggi ci rivela la loro incredibile complessità, affascinante e delirante allo stesso tempo.
La sceneggiatura, nonostante racconti delle situazioni piuttosto lineari, esplode in molti punti in tutta la sua traboccante enigmaticità. Alcune scene come una di quelle iniziali, durante la quale l’eroe trova un orecchio umano o la sequenza in cui Ben Soave canta in playback la canzone In Dreams di Roy Orbison, fanno intendere una stratificata narrazione. La magia scenica risiede nel non far soffermare solamente sul semplice avvenimento che accade su schermo, ma su un ogni dettaglio. All’apparenza, infatti, ci sembra di trovarci di fronte all’ennesimo crime costituito da un detective e un criminale che va braccato, invece è tutto molto più complesso di quello che sembra, visto che la certosina scrittura di alcuni personaggi ci rivela la loro incredibile complessità, affascinante e delirante allo stesso tempo.
Frank Booth (interpretato da uno strepitoso Dennis Hopper) è un antagonista mefistofelico e spietato, ma cela delle debolezze che lo rendono fragile agli occhi degli altri. Egli ha, infatti, due personalità che tentano di prevalere una sull’altra, in un combattimento interiore, che cerca di soffocare, drogandosi con una strana sostanza che inala da una mascherina. Dorothy Vallens (Isabella Rossellini), invece, è sia la femme fatale della pellicola (protagonista di una scena molto nota, nella quale canta Blue Velvet di Bobby Vinton), ma anche la donzella in difficoltà che deve essere a tutti costi salvata. Una pericolosa duplicità che la rende schiava e dipendente da Frank, anche perché il criminale tiene in ostaggio suo marito e suo figlio.
I suoni di scena sono stati fondamentali per generare inquietudine nelle sequenze oniriche e metafisiche.
A completare questo pirotecnico quadro vi è un comparto sonoro molto suggestivo che scandisce perfettamente i vari avvenimenti che si susseguono nel film. Le musiche di Angelo Badalamenti (con il quale il filmaker ha lavorato per tutta la sua carriera), di stampo jazz, contribuiscono a rendere l’atmosfera più sofisticata ed elegante, ma al tempo stesso aggiungono quel pizzico di mistero, tipico dei più tradizionali noir. Non sono assolutamente da sottovalutare nemmeno i suoni di scena, gestiti dal compianto Alan Splen, che sono stati fondamentali per generare inquietudine nelle sequenze oniriche e metafisiche, riscontrabili all’interno del lungometraggio.
Velluto blu, nonostante sia stato accolto in maniera negativa dal pubblico appena uscito nelle sale, con il tempo è stato rivalutato tantissimo ed oramai viene considerato un classico senza tempo. Come tutte le opere di David Lynch, anche questa ha la caratteristica di essere estremamente enigmatica e confusionaria alla prima visione, ma estremamente ricca di sfumature e spunti di riflessione. Quello che spesso spaventa un fruitore di una delle realizzazioni di questo noto regista, è che sia tutto estremamente criptico e che non ci sia una soluzione vera e propria a determinate rappresentazioni. Ma nel momento in cui si comprende la sua vera intenzione, cioè quella di proiettare, senza filtri e macchinazioni, il contenuto della sua mente, finalmente si coglie un po’ della magia dell’artista, che ha sicuramente rivoluzionato il modo di fare cinema.
Clicca sulla copertina per leggere