Negli ultimi tempi si è parlato molto di sviluppo, tecnologie e prodotti, mettendo un po’ da parte quello che riguarda invece la crescita dell’industria. Sappiamo anche che la Cina è uno dei paesi che più sta investendo sulla realtà virtuale, e non è raro trovarci a parlare di aziende cinesi e dei loro prodotti, siano essi periferiche, smartphone o visori. Dall’oriente, arrivano dei dati che potrebbero apparire un po’ preoccupanti: il 90% delle startup VR si è ritrovata a dover chiudere per gli incassi troppo scarsi. Se a questo aggiungiamo le previsioni errate relative alle vendite dei visori, il panorama non è proprio dei migliori. Ma bisogna comunque tenere a mente che questa grande percentuale di fallimenti è tipica di qualsiasi settore industriale, non solo della VR. Nel 2015 si erano viste circa 300 società cinesi contagiate dalla febbre virtuale, e ad oggi ne sono sopravvissute forse appena una decina, e anche queste, in ogni caso, non se la stanno passando granché bene. La iiMedia Research, una compagnia che si occupa di analisi del mercato tecnologico e delle piattaforme, ha dichiarato che il 70% dei possessori di smartphone non erano interessati all’acquisto dei visori che queste aziende offrivano. Ciononostante, la Cina resta un focus importante per la VR, e l’interesse generale di questo paese nei confronti della tecnologia è sicuramente maggiore, e questa attrazione si manifesta in un modello VR-Arcade di discreto successo.
Tutto ciò potrebbe portare a credere che il mercato cinese stia implodendo ma, al contrario, si sta sviluppando anche meglio che in occidente. La Cina è molto concentrata nella replicazione di prodotti già esistenti, come cloni di Google Cardboard e Samsung Gear VR, senza caratteristiche aggiuntive o uniche, ma a basso costo. Malgrado ciò, gli investimenti continuano a fluire. Quest’anno abbiamo toccato i 221 milioni di dollari, e nel 2017 è previsti un aumento fino a 345 milioni, circa il 900% rispetto al 2014. Diciamo che attualmente, il mercato dei visori è dominato da HTC, Oculus, Sony, Samsung e Google, che vantano servizi, qualità e supporto migliori, quindi è facile supporre che gli investimenti si sposteranno verso altri settori, come quello delle periferiche. Secondo le stesse indagini, questo mercato del copiare ha bloccato i canali di necessari all’innovazione per raggiungere i clienti. Insomma, le aziende hanno cercato di soddisfare una domanda che in realtà non c’era, e la selezione naturale ha colpito duramente, e direi che non c’è nulla di strano in tutto ciò, considerando il fatto che si tratta della principale motivazione di bancarotta. Questo calo drastico delle startup però potrebbe ridistribuire le risorse in modo che la crescita sia più mirata. Diciamo quindi che non tutto il male vien per nuocere.