Inutile negarlo: al sottoscritto, Until Dawn era piaciuto. Anche volendo mettersi d’impegno per osservarne al microscopio ogni più piccolo difetto (e ne aveva), si trattava di un’avventura globalmente ben riuscita, che sapeva orchestrare bene momenti tranquilli e situazioni in cui ci si trovava con il cuore in gola. Sul finale la magia andava un po’ a perdersi, ma i primi quattro capitoli del titolo di Supermassive Games erano, all’epoca della sua pubblicazione, quanto di meglio le console di attuale generazione potessero offrire fra le esperienze narrative a tema survival horror. Ora, con il pubblico in spasmodica attesa di un possibile seguito della serie principale, lo studio britannico ha preso la coraggiosa decisione di rimettersi in gioco cambiando le carte in tavola, avvicinandosi con curiosità al PlayStation VR e provando a farsi un nome anche fra l’utenza del visore Sony. Ci sarà riuscito? Cerchiamo di capirlo!
Per parlare di Until Dawn: Rush of Blood, bisogna prima di tutto dimenticare il genere di riferimento e tutti (o quasi) i personaggi che abbiamo imparato a conoscere nel titolo originale. In questo caso, infatti, ci troviamo di fronte ad uno spin-off che, per meglio adattarsi alla realtà virtuale, mantiene soltanto il nome e poco altro del brand di appartenenza. Pur conservando qualche elemento di congiunzione nello stile visivo, Rush of Blood è un’esperienza del tutto diversa dalla precedente opera di Supermassive Games, uno shooter su binari nel quale far fuori orde di nemici indemoniati attraverso una decina di livelli di lunghezza non eccessiva.
Rush of Blood è un’esperienza del tutto diversa dalla precedente opera di Supermassive Games, uno shooter su binari nel quale far fuori orde di nemici indemoniati
Invece di fare un passo avanti nel futuro qui si strizzano gli occhi al passato, preferendo affidarsi ai solidi ma ormai vetusti stilemi degli sparatutto vecchia scuola, dei quali l’intramontabile Time Crisis è stato e continua ad essere uno degli ultimi, degni esponenti. Al primo avvio, dopo aver ascoltato le familiari note di O Death, è possibile decidere se giocare utilizzando il Dualshock 4 o una coppia di Move: benchè nel primo caso ci si può comunque destreggiare, pur con qualche difficoltà, credetemi se vi dico che utilizzare i controller di movimento è davvero tutta un’altra cosa.
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Until Dawn: Rush of Blood, come già detto, è uno shooter su binari che pone il giocatore seduto all’interno di un immaginario vagone, su una macabra attrazione da parco dei divertimenti, qui trasformata in una folle discesa incontro alle proprie paure più profonde. Dopo aver configurato e preso confidenza coi comandi, ecco giungere un presentatore da circo vestito di tutto punto, che funge da guida per meglio introdurre i sette livelli che compongono il gioco. Una volta avviato il primo, diventa subito chiara la natura arcade di Rush of Blood, che preferisce rinunciare a qualsiasi velleità di realismo al solo scopo di menare le mani (anzi, le pistole) e far fuori quanti più nemici possibile, cercando al contempo di essere precisi e letali, ma soprattutto di non spaventarsi troppo.
Una volta avviato il primo livello, diventa subito chiara la natura arcade di Rush of Blood, che preferisce rinunciare a qualsiasi velleità di realismo al solo scopo di far fuori quanti più nemici possibile
Le armi base, con le quali è possibile prendere confidenza fin dal tutorial, sono le due fidate pistole, ovviamente dotate di munizioni infinite. Sparando ad apposite scatole disseminate nel corso dell’avventura, è possibile raccogliere diverse bocche da fuoco più potenti, ma con un quantitativo di munizioni limitato, come mitragliette, fucili a canne mozze o addirittura pistole lanciarazzi. Queste armi sono di grande aiuto per superare determinati frangenti contro nemici particolarmente coriacei, o gli scontri con i boss di fine livello: in questi casi, se non siete abili pistoleri, vi serviranno un paio di tentativi per venirne a capo. Il sistema di controllo, perlomeno, funziona piuttosto bene e aiuta anch’esso nell’immedesimazione: dopo qualche minuto, si inizia a percepire la sensazione di impugnare davvero due armi. Il titolo, fra l’altro, supporta senza problemi anche i movimenti della testa, per schivare eventuali ostacoli sui binari o diversi proiettili improvvisati.
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L’elemento horror, cardine del suo predecessore, non è andato perso in Rush of Blood: casomai, è stato contestualizzato in uno scenario diverso e in un altro modo. Inutile girarci intorno: l’unico elemento valido per spaventare il giocatore, quando egli non possiede alcun controllo sul movimento, è il classico salto sulla sedia, o, se preferite il termine originale, jumpscare. Rush of Blood è in grado di lasciarvi scappare ben più di un’imprecazione in questo modo, con spaventi che, seppur spesso telefonati, sono enormemente amplificati dal modo in cui si sta giocando. Non dimentichiamo, infatti, che stiamo utilizzando un PlayStation VR: toglietevelo di dosso, lasciate provare il gioco ai vostri amici e probabilmente vi farete quattro risate nel vedere riprodotte sullo schermo di fronte a voi cose che dentro il visore vi sembravano spaventose. Oltre che, ovviamente, nel veder loro giocare.
Rush of Blood è in grado di lasciarvi scappare ben più di un’imprecazione, con spaventi che sono enormemente amplificati dal modo in cui si sta giocando
Le creature da crivellare senza pietà spaziano da mostri piuttosto generici quali zombie o simili ad animali di varia natura, alcuni inseriti come elementi estetici al solo scopo di impressionare o spaventare, altri come veri e propri nemici. Un livello, in particolare, è interamente incentrato sui ragni, per la gioia di tutti gli aracnofobici: se, come del resto il sottoscritto, siete affetti da questo disturbo, fidatevi di me e passate all’arena successiva! Il gameplay di Until Dawn, sebbene volutamente minimalista e semplicistico, si adatta piuttosto bene alla combo visore/move, ed è perfetto per serate con gli amici nelle quali fare a gara a chi si spaventa o a chi ride di più, a seconda dei casi. Questa inaspettata vena da party game potrebbe rappresentare una freccia in più al suo arco, da non sottovalutare affatto.
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Come ogni videogioco in VR che si rispetti, non possiamo parlare di Rush of Blood prescindendo dall’elemento motion sickness. Sfortunatamente, lo diciamo subito, il titolo di Supermassive esce un po’ con le ossa rotte da questo punto di vista. Il vagone sul quale si trova il giocatore è infatti soggetto a improvvise accelerazioni e altrettanto brusche decelerazioni per passare da un’area di shooting all’altra, ed anche in queste sezioni maggiormente concitate vi sarà spesso richiesto di guardarvi intorno per schivare oggetti o sparare a notevole velocità. Immaginiamo di trovarci sulle montagne russe e di decidere nel frattempo di girarci intorno per ammirare il panorama: il nostro stomaco si rivolterebbe al solo pensiero. Ecco, qui, a tratti, l’effetto è più o meno lo stesso.
Per provare ad evitare l’effetto motion sickness, aiuta molto mantenere un minimo contatto con la realtà: qualcuno di fianco che vi parli mentre giocate rompe decisamente l’immersione, ma vi assicura un ridotto malessere
Come fare, dunque, per evitare il problema? Beh, si potrebbe semplicemente decidere di chiudere gli occhi e saltare a piè pari queste brevi ma intense sezioni ad alta velocità, ma il consiglio da seguire è sempre più o meno il medesimo: evitare di concentrarsi troppo sul gioco. Può sembrare un controsenso, ma vi assicuriamo che, all’interno di un’esperienza in VR, è vitale mantenere un minimo contatto con la realtà, magari avendo qualcuno di fianco che vi parli mentre giocate, rompendo l’immersione ma assicurandovi una ridotta sensazione di malessere. Chi, invece, può vantare un’incrollabile forza di volontà e non avverte alcun malessere, neanche per un secondo, giocando a Rush of Blood… beh, è davvero fortunato! In ogni caso, eventuali giramenti di testa spariscono dopo pochi secondi una volta tornati ad affrontare situazioni più tranquille.

Cosa dire, in definitiva, di Until Dawn: Rush of Blood? La nostra sensazione è che il titolo di Supermassive Games guadagni tanto, tantissimo del suo valore proprio grazie al PlayStation VR, che, come una sorta di moderno Re Mida, trasforma qualsiasi cosa passi sotto le sue lenti in un’esperienza quantomeno discreta. È proprio l’utilizzo del visore Sony che rende l’esperienza così terrificante, e che spinge a volerne ancora e ancora, rigiocando i diversi livelli per migliorare il proprio punteggio e confrontarsi con gli amici. Il titolo è un interessante, primo esperimento, capace di dimostrare che il genere dei rail-shooter può letteralmente rinascere a nuova vita su PlayStation VR, e, in generale, grazie alla realtà virtuale.
È proprio l’utilizzo del visore di Sony che rende l’esperienza così terrificante, e che spinge a volerne ancora e ancora, rigiocando i diversi livelli per migliorare il proprio punteggio
Non sappiamo se in futuro il team di sviluppo si dedicherà nuovamente ad un progetto del genere, ma se il maggior pregio di Rush of Blood è proprio il come lo si gioca, siamo sicuri che diversi altri titoli, anche meglio strutturati e più complessi, decideranno di imitarne le basi Un ritorno al passato, sì, ma per guardare al futuro: se gli sparatutto in VR devono partire (anche) da qui, per noi questo primo tentativo è discretamente promosso. Chi sta cercando in assoluto la miglior ragione per acquistare PlayStation VR, invece, può rivolgere tranquillamente lo sguardo altrove!
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