Certe volte alcuni prodotti, o come meglio vengono definite, esperienze, non dovrebbero esistere. Ci troviamo in un periodo abbastanza particolare: la realtà virtuale inizia a dilagare, quasi in modo pandemico, colpendo ogni singolo utente (videogiocatore o non) ed invogliandolo ad acquistare un possibile visore, uno qualunque, purché trasporti le persone in un mondo parallelo. Ma oggi non ci troviamo qui a parlare delle differenze tra un Google Cardboard e un Oculus Rift: se ci seguite, dovreste già sapere come i due prodotti colpiscano due target diversi, ed hanno infine due utilizzi molto diversi. La riflessione che vorrei far partire dentro ogni singola persona che leggerà queste righe è la seguente: c’è bisogno veramente di trasporre ogni singolo contenuto per la realtà virtuale?
Parlando di esperienze virtuali, ho avuto modo di provare un’applicazione, Absolut deadmau5, creata appositamente, o per meglio dire, spudoratamente, solo con lo scopo di pubblicizzare un prodotto e/o un musicista (che di pubblicizzazione non penso abbia bisogno). Risultato finale? Un dramma, uno spot pubblicitario mascherato da applicazione VR che non solo è stata creata senza concezione alcuna di come funzioni il visore, ma inoltre non crea un singolo momento di sfida, risultando piatto e noioso. Ponendoci quindi la domanda precedente, mi sembra abbastanza ovvio come la risposta sia un fragoroso e risonante No, e non sono di certo in grado di spiegare le dinamiche di un’azienda grande come Absolut Vodka o di un artista come deadmau5, ma probabilmente la creazione di questo giochino è stata dettata esclusivamente da una voglia di cavalcare l’onda della moda.
Saltando su qualcosa di più inerente ai videogiochi, è necessario analizzare velocemente l’E3, o meglio ancora la conferenza relativa ai prodotti Sony: complice l’arrivo ad ottobre di PlayStation VR, questo E3 è stato costellato da tanti sottotitoli che recitavano, ad ogni fine trailer, la dicitura anche su VR! Titoli come Resident Evil VII (del quale ci sarebbe da parlare per ore riguardo ad una possibile ed ennesima scelta errata, ma per ora tralasciamo) permetteranno di poter giocare il prodotto totalmente con il visore per la realtà virtuale, mentre giochi quali Final Fantasy XV e Call of Duty Infinite Warfare avranno delle piccole modalità dedicate alla VR. Sembra di essere tornati un po al periodo in cui il multiplayer veniva inserito in ogni singolo gioco: titoli che dedicavano il 90% delle risorse alla storyline si trovavano con una modalità multigiocatore pessima, quasi offensiva, capace di rovinare involontariamente un gioco. Ora, nel 2017, avremo la stessa cosa ma con la realtà virtuale, che probabilmente dilagherà contaminando ogni singolo videogame che uscirà negli anni a venire, fino a che poi, come successe per il multigiocatore, verrà compreso quanto non sempre ci sia bisogno di utilizzare una certa tecnologia, anche se di moda e chiacchierata.
Va di certo spezzata una lancia in favore di alcuni studi di sviluppo che, con grinta e coraggio, riescono davvero a creare esperienze degne di questo nome: lo sembra Batman Arkham VR, titolo investigativo ben elaborato che trasla una componente del Cavaliere Oscuro, ovvero la sua fantastica abilità di detective, in un titolo dove potrete analizzare scene del delitto e spostarvi per Gotham City con lo scopo di catturare i cattivi; lo sembra anche The Climb, titolo Crytek che vi farà vivere l’esperienza di uno scalatore alle prese con cime che sembrano insormontabili. Come vedete i videogiochi, le applicazioni e i contenuti per la realtà virtuale, creati con criterio, esistono, e come avete potuto capire non sono di certo questi il problema che strazia la VR: purtroppo però, in una società dove è più importante mostrare di essere al passo con i tempi piuttosto che creare un’esperienza valida, si generano delle chimere come le già citate, capaci in casi estremi di rovinare una volta per tutte il nome della realtà virtuale. Probabilmente questo discorso risulterà , a molti, drastico, ma d’altronde non è abbastanza simile al mercato mobile? Esistono infatti milioni di applicazioni di alto livello in quell’ambito, che vengono comunque sovrastate dalla mole di software totali, capaci, in alcuni casi, di oscurarli seppur ben fatti, e si teme il terrore di rivivere la stessa esperienza anche nella VR. E pensare che basterebbe soltanto mettere un po di criterio alla base di ogni prodotto artistico e creativo: alla fine, la realtà virtuale non è di certo la panacea del 2016.