FATED: The Silent Oath: la Recensione di VR Gamer

La mia esperienza è cominciata nella maniera più ovvia: ho indossato il visore, poi le cuffie, ho afferrato il controller e ho selezionato il gioco. Dopo essermi ritrovato in un’incantevole schermata iniziale, dalla cima di un monte che erge in un cielo pieno di stelle e luci, ho dato inizio alla mia avventura. Voglio subito premettere una cosa: sono sempre stato enormemente affascinato dalla mitologia norrena, più di qualsiasi altra, e malgrado alcune storie siano piuttosto bizzarre (se non mi credete leggetevi la nascita di Sleipnir, poi ne riparliamo), è sempre e comunque pervasa da un’irresistibile aura di mistero e di epicità. La gloria della morte in combattimento, i rituali di festa, i riti propiziatori e quelli funebri, la suggestiva forza delle rune, lo stesso pantheon di divinità, la concezione della vita oltre la morte, il legame fortissimo con gli elementi naturali, sia nella vita quotidiana che nel credo religioso, e molto altro ancora la rendono qualcosa per cui non riesco a nascondere il mio amore. FATED: The Silent Oath è ispirato proprio a all’affascinante mitologia delle terre del nord e ce la rielabora in una storia che parla di un viaggio di speranza, coraggio e sacrificio. Se il vostro sogno, come il mio, è sempre stato quello di impersonare un fiero omaccione del nord, forte e senza paura, allora sedetevi intorno al fuoco: vi racconterò la leggenda del mio avatar vichingo.

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Spesso mi è venuta voglia di fermarmi solo per guardarmi intorno ed ammirare un pò gli scenari intorno a me.

La storia parla di Ulfer, il protagonista (cioè noi, però non proprio noi, perchè il fisico è suo ma la ment… Vabbè, avete capito) che si risveglia dopo circostanze misteriose privato della memoria e della voce. Una misteriosa entità, che ci rivelerà essere una valchiria, ci spiegherà infatti che gli eventi ci stanno conducendo verso una triste morte, ma a patto di rinunciare alla nostra voce, lei ci avrebbe permesso di tornare tra i vivi: qualsiasi cosa per la nostra famiglia. Stretto il patto, apriamo finalmente gli occhi per tornare nuovamente tra i mortali. Il nostro villaggio è in ginocchio di fronte alla terribile piaga della fame e sembra che nella nostra valle ci sia qualcosa di oscuro, che rischia di minacciare la vita di tutte le creature che la abitano. Lo jarl, di fronte agli stenti e alle sofferenze della sua gente, prende la decisione di raccogliere quante più provviste possibili e mettere tutti in viaggio, alla ricerca di terre più ricche ed ospitali. Verremo quindi mandati in missione, insieme a nostra moglie, per recuperare alcuni membri del clan che si sono allontanati in cerca di cibo, nello specifico, nostra figlia, nostro nipote e la veggente del villaggio, ed è in questa occasione che ci vengono presentati i compagni del nostro viaggio.

FATED: The Silent Oath è ispirato proprio a all’affascinante mitologia delle terre del nord e ce la rielabora con una storia che parla di un viaggio di speranza, coraggio e sacrificio.

Una volta recuperati, è il momento di partire, ma è durante una sosta, mentre siamo tutti seduti intorno ad un falò, che la veggente dichiara di aver avuto una terribile visione: i giganti, eterni nemici degli dei e di tutto ciò che hanno creato, presto torneranno. Pfui, suvvia, chi vuoi che creda a queste favolette per bambini! Una volta rimessi in viaggio, a bordo dei nostri carri, ci muoviamo lungo i fianchi di un precipizio, in mezzo a meravigliosi scenari, quando, ad un tratto, cala una misteriosa nebbia… e uno di loro appare, schiacciando senza scrupoli il carro che ci precede col suo enorme pugno.  Da questo momento in poi, la nostra avventura prende il via, in un turbinio di coraggio, dolore, emozioni e sorprese, per guidare i nostri cari in un luogo sicuro e rivelando che tutte quelle storie raccontate nelle leggende, potrebbero non essere solo delle favole.

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“Ehi… Perchè c’è questa nebbia? Cos’è questo rumore? Cosa sta succedendo?”

Non voglio dilungarmi troppo sulla storia, poichè essendo FATED: The Silent Oath un titolo estremamente story driven, spero che questa recensione trasmetta le sensazioni e le emozioni che ho vissuto, senza privare al lettore lo stupore e la meraviglia che io stesso ho sperimentato nel godermi la storia ed esplorando questo mondo così esotico: personalmente, ritengo che la narrativa di questo gioco sia una delle più interessanti che abbia visto in VR, a partire dai personaggi. Col tempo, è infatti possibile ammirarne molte sottili sfaccettature di una psiche complessa e profonda. I modi di reagire a ogni situazione, siano esse grandi o piccole, rivelano aspetti del loro carattere che mostrano la loro anima poco alla volta, dando vita ad individui tutti molto credibili e con cui è facilissimo entrare in empatia. Sfido chiunque a trattenere un ‘aww‘ di tenerezza ogni volta che Lif, la nostra piccola adorabile figlioletta, si interfaccerà con noi chiamandoci papà. Insieme all’ambientazione, ben ricercata e anche molto suggestiva, i personaggi di FATED: The Silent Oath saranno in grado di suscitare in noi emozioni potenti e sincere, grazie anche ad un doppiaggio curato in grado di comunicare tutto lo spettro di emozioni dei vari individui. Lo stile grafico, che mi azzardo a definire cartoonesco, non tradisce le tematiche seriose, mature, e a volte persino cruente, del gioco, poichè riesce a mantenere tutto perfettamente coerente in ogni suo dettaglio, quindi non fatevi ingannare: per quanto lo stile potrebbe non essere di gradimento per tutti, il sangue e la violenza non mancheranno!

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La piccola Lif sarà in grado di sciogliere i cuori più freddi senza nessuno problema. E se non fosse così, allora è probabile che abbiate un cuore di pietra.

Il gioco prevedere l’uso di controller classico per poter interagire. Una volta indossato il visore, per spostarci non dovremo fare nulla di diverso da quello che avremmo fatto con un gioco su schermo: con la levetta analogica sinistra ci muoviamo e con la destra giriamo la telecamera. Ora, perchè c’è bisogno di girare la telecamera se indossiamo un visore? Semplicemente, dovendoci muovere all’interno di uno spazio tridimensionale da seduti, per eseguire una rotazione di 180° o più, o ci spezziamo il collo, oppure ruotiamo ulteriormente la telecamera con la levetta. Questo evita anche problemi di cavi che ci si aggrovigliano intorno, cosa che può diventare pericoloso per noi e per l’attrezzatura. Non voglio nascondervelo: inizialmente ero scettico, questo sistema di movimenti è noto per non essere ancora ben perfezionato, e già l’idea di portarmi una bacinella da casa mi solleticava il cervello.

Insieme all’ambientazione, ben ricercata e anche molto suggestiva, i personaggi di FATED: The Silent Oath saranno in grado di suscitare in noi emozioni potenti e sincere.

Devo ammettere di essere rimasto piacevolmente sorpreso nello scoprire che avevo torto: camminare in giro per lo spazio di gioco non mi ha provocato alcun tipo di fastidio. Il personaggio si muove lentamente, così da permettere ai nostri sensi di adattarsi facilmente, ergo, niente motion sickness. Per quanto in alcuni momenti sorge lo spirito del videogiocatore che esige il suo tasto per sprintare nei momenti in cui la strada si fa un pò più lunghetta, tutto sommato il sistema di movimento non ha gravi pecche, se non due: la prima, è proprio la telecamera che ruota. Quella in alcuni momenti ha suscitato dei lievi fastidi, più agli occhi che allo stomaco, probabilmente perchè ruota più velocemente rispetto al movimento.

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Gli enigmi sono tutti estremamente intuitivi: con una sola occhiata e un pò di ragionamento, è semplice capire come risolverli.

Esiste l’opzione per eseguire una rotazione “scattosa” per coloro che soffrono particolarmente questo movimento di telecamera, ma l’ho trovata così atipica che è riuscita solo a darmi ancora più fastidio. Immagino sia una cosa personale, ma è lodevole offrire la possibilità di scegliere tra queste due impostazioni. L’altra è una conseguenza della rotazione: se dovessimo dare le spalle ai personaggi, improvvisamente inizieremo a sentirli parlare come se fossero dietro ad un muro. La sensazione era quella di avere delle grandi conchiglie al posto orecchie, che mi permettono di ascoltare benissimo chiunque mi parli faccia a faccia, ma nel momento in cui mi ritrovo a dare loro le spalle, il suono diventa tutto ovattato.

Il personaggio si muove lentamente, così da permettere ai nostri sensi di adattarsi facilmente, ergo, niente motion sickness.

E’ davvero un peccato che ci sia questo difetto, poichè il gioco è ricco di dettagli atti a garantire una totale immersione, quali la tua ombra, i personaggi che ricambiano il tuo sguardo o che ti passano a fianco invece che a traverso; sembrano stupidaggini, ma vi garantisco che io in quel momento mi sentivo davvero presente in quell’ambiente, di essere tangibile, e non un fantasma che vaga e viene ignorato. Non me la sento di attaccarli per quello che tutto sommato non è una problema che rende ingiocabile l’esperienza, ma ci terrei che risolvessero la cosa, perchè quando avveniva, io improvvisamente realizzavo di essere in un videogioco.

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I momenti carichi di emozioni intense non mancheranno, fidatevi.

Per quanto riguarda l’interattività, il gioco offre uno spazio abbastanza limitato alle azioni che possiamo compiere, e non ci potremo mai allontanare dai binari che hanno preparato per noi. Ad esempio, durante la battuta di caccia, imbracceremo arco e frecce e andremo insieme a nostro nipote a rimediare un pò di selvaggina, ma non avremo l’opportunità di scegliere di equipaggiare o riporre l’arma a nostro piacimento: sarà solo ed esclusivamente in quel momento che l’arco farà il suo dovere. Il motivo risiede, ovviamente, nella trama stessa del gioco: se potessimo scoccare frecce a qualsiasi cosa si muove, tutto perderebbe di senso. La mancanza di controller specifici per la VR non è stata percepita come una pecca, semplicemente perchè con i pochi e semplici comandi a disposizione, e la mancanza di una liberta totale di azione, non se ne è sentita la necessità, il gioco riesce comunque ad essere interessante con un visore ed un semplice controller classico.

La mancanza di controller specifici per la VR non è stata percepita come una pecca, semplicemente perchè con i pochi e semplici comandi a disposizione, e la mancanza di una liberta totale di azione, non se ne è sentita la necessità.

Il puntamento coincide con la direzione in cui rivolgiamo il nostro sguardo, con i grilletti solleviamo le braccia oppure eseguiamo un’azione speciale, come far sterzare il carro quando ci ritroveremo a guidarlo o scoccare la freccia durante la battuta di caccia. Per quanto le azioni siano volontariamente limitate, qualche mancanza l’ho sentita. La profonda empatia che si sviluppa coi personaggi, rafforzata dal fatto che essi rappresentano in buona parte la tua famiglia, in alcuni momenti mi ha spinto a fare un gesto apparentemente molto semplice ma di forte impatto emotivo: posare una mano sulla spalla. Non dico abbracciare, carezzare, stringere… Posare la mano sulla spalla. Di questo ne ho sentito la grande mancanza, ed è un peccato perchè, così come il suono ovattato, anche l’impossibilità di poter scegliere di eseguire un semplice gesto di conforto ha contribuito a ricordarmi che sto giocando ad un videogioco, facendo un pò perdere di immersività.

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A momenti non so neanche come si tiene in mano un’arco, ma nei panni di Ulfer sono diventato un cacciatore micidiale.

Uno degli elementi utilizzati per aggiungere un pizzico di intrigo mescolando i fascinosi elementi della mitologia norrena agli ambienti, sono i puzzle che di tanto in tanto incontreremo. Spesso si tratta di pericolose trappole da evitare, trabochetti da cui non dobbiamo farci ingannare o anche solo semplici giochi di logica, come ricordare una sequenza e ripeterla, nulla di proibitivo insomma. Il gioco continua a dimostrarsi estremamente story driven anche sotto questo punto di vista: gli enigmi sono pensati per coinvolgerci, non per ostacolarci in maniera aggressiva, e per alcuni forse potrebbero sembrare fin troppo semplici. Nel nostro percorso esploreremo ambienti estremamente suggestivi, che ci racconteranno un pò delle leggende che narrano la nascita del mondo, degli dei e delle creature che lo popolano. Le atmosfera si alternano a spazi angusti, quasi claustrofobici, ad ambienti maestosi, magici, arricchiti da raffigurazioni e statue che trasudano un’antica solennità.

FATED: The Silent Oath, è sicuramente un titolo che merita particolari attenzioni. Il gioco è diviso ad episodi, da acquistare separatamente, a loro volta suddivisi in atti, confermando ancora una volta quanta attenzione ci sia nel voler raccontare una storia intensa, anche se non particolarmente lunga, almeno in questo primo episodio. Malgrado qualche difetto e una scarsa libertà di interazione, che è un vero peccato visto l’enorme potenzialità della realtà virtuale in questo ambito, l’esperienza resta assolutamente molto valida, ma non per tutti: se la vostra attenzione è più orientata sul gameplay che sul racconto, allora FATED potrebbe non essere un titolo adatto a voi. Se invece siete grandi amanti delle storie e volete sperimentarne una in realtà virtuale, allora il mio consiglio spassionato è di dargli una possibilità per incantarvi, così come ha fatto con me: magari la nostra avventura sarà di gradimento al potente Odino e ci permetterà di sedere a fianco a lui nel Valhalla!