In un mercato in continua evoluzione le notizie corrono via veloci, e quindi eccoci un’altra volta a parlare di un caso in cui la realtà virtuale è stata e sarà impiegata in modo proficuo in un campo che non siano i videogiochi. Fino ad oggi sono state eseguite con successo sperimentazioni nella medicina e nella scienza come nell’arte, ogni volta dimostrando l’enorme versatilità di un settore in costante ascesa. Il passo successivo? Essere pienamente compreso dal pubblico, ma per ora è ancora necessario andare per gradi, e registrare passo dopo passo i successi ottenuti dalla VR nella sua legittimazione non soltanto come campo di interesse tecnologico, bensì come medium a tutto tondo, in grado di andare a toccare le sfere più disparate. Malgrado sia stata impiegata con discreto successo in attività umane anche concettualmente agli antipodi fra loro, la VR non aveva finora sfiorato quasi mai questioni di ambito legale, soprattutto i casi più scottanti discussi ogni giorno in tribunale. Quanto è stato deciso nel Regno Unito, però, potrebbe cambiare le carte in tavola: è infatti di oggi la notizia, riportata dalla BBC, secondo cui nella terra della regina è stata avviata una particolarissima sperimentazione, che punta a ricostruire le scene del crimine servendosi della tecnologia messa a disposizione da HTC Vive. Uno scopo quantomai nobile. E, diciamocelo pure, era anche ora che qualcuno si decidesse, finalmente, a realizzarlo concretamente. Insomma, qualcosa che finora era sembrato essere soltanto un sogno fantascientifico ed irrealizzabile (qualcuno ricorda gli occhiali ARI di Norman Jayden, uno dei quattro protagonisti di Heavy Rain?) potrebbe di qui a pochi mesi non soltanto diventare una realtà praticabile, ma anche potenzialmente in grado di affermarsi nel giro di pochi anni.
L’università  della contea dello Staffordshire ha infatti ricevuto ben 140mila sterline dalla Commissione Europea per portare avanti una ricerca volta a permettere ai giurati di impiegare il Vive come mezzo per analizzare le scene criminose tramite i suoi due controller, che grazie ai loro avanzatissimi sensori di movimento consentirebbero di poter afferrare ed analizzare gli indizi con precisione millimetrica. Secondo il docente di informatica forense dell’università , la dottoressa Caroline Sturdy Colls, la realtà virtuale rappresenta la soluzione migliore per aiutare nel miglior modo possibile la giustizia criminale. Inoltre, dimostrando una certa ironia, la polizia locale avrebbe fatto notare che le 689 sterline necessarie per ordinare un HTC Vive sono particolarmente abbordabili confrontate alle loro risorse. Il primo interlocutore da dover convincere, insomma, sembra già d’accordo: rimarrà un caso isolato, o nei prossimi anni i corpi di polizia di tutto il mondo decideranno di aprire dipartimenti interamente virtuali? E, soprattutto, è davvero questo il futuro della giustizia forense? Beh, se le sperimentazioni avranno esiti positivi, la vera domanda è: se la cosa funziona, perché no? Sono ormai decenni che ci affidiamo ad apparecchi tecnologici per risolvere qualsiasi problema, dai più irrilevanti ai più complessi, spesso senza neanche rendercene più conto. Tralasciando le comprensibili perplessità iniziali, chiamare in causa chissà quali questioni etiche sarebbe un gesto insensato e, onestamente, incoerente. Siamo nel 2016, gente. Con che coraggio continuiamo ad essere così morbosamente attaccati alla tecnologia nella vita di tutti i giorni, se poi abbiamo la presunzione di respingerla quando si tratta di compiere passi più grandi?
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