Una delle caratteristiche sicuramente più innovative della realtà virtuale è la possibilità di poter mostrare all’utente qualsiasi contenuto con un grado di coinvolgimento mai visto prima. Questa possibilità , però, non è stata ancora del tutto compresa e interiorizzata da una larga fetta di pubblico, per cui utilizzare un visore sarebbe soltanto un altro modo di guardare uno schermo. Beh, cari miei, nulla di più falso. Quando si parla di realtà virtuale non c’è nulla da fare: l’unico modo per capirla è provarla. Ed è forse a causa della diffusione relativamente limitata della VR, almeno per ora, che le discussioni etiche in merito alle sue infinite applicazioni ancora latitano, a meno, sia chiaro, di andare a spulciare nei meandri della stampa fortemente specializzata nel settore. Occhio, però, non ci riferiamo alle discussioni imbastite da chi non ha mai provato un visore ed ha forti pregiudizi in merito alla realtà virtuale, più o meno come quelle fatte tra i nostri nonni o bisnonni e i loro figli in merito alla televisione. Corsi e ricorsi storici, in cui in entrambi i casi si mette alla gogna un infernale aggeggio senza alcun futuro. E non parliamo neanche di chi, all’opposto, idolatra la VR senza riflettere. Stiamo semplicemente dicendo che è un bene per tutti che le argomentazioni in merito, lodi o critiche che siano, diventino al più presto costruttive, tra persone informate e consapevoli di ciò che è la realtà virtuale e di ciò che potrà  diventare. Questo tipo di discussioni, sempre più libere da ogni pregiudizio, non potrà  far altro che crescere insieme alla maturazione della VR e maturare a sua volta, in particolare prendendo in esame opere multimediali come AfterLife VR. Il suo creatore, Michael Smith, ha aperto una campagna di crowfunding su Gofundme per finanziarne la lavorazione, con l’obiettivo di raccogliere almeno 15.000 dollari. L’opera dello sviluppatore indie, come avrete già intuito, non è un videogioco nel vero senso della parola.
Il concept dell’applicazione interattiva è piuttosto semplice: consentire alle persone di guardare fotografie dei propri cari o dei propri animali defunti in un modo del tutto nuovo, potendo interagire con loro. Il software-videogioco, infatti, consente di caricare e configurare l’immagine in modo del tutto particolare nel visore, creando una figura in 3D a partire da una semplice stampa 2D. Smith ha affermato che l’idea gli è venuta quando, qualche settimana fa, ha sognato la nonna defunta anni prima:
Non parlavamo. Semplicemente, ci godevamo la reciproca compagnia. Mia nonna è morta diversi anni fa ed è stato così bello rivederla, anche se non potevo sentirla. Quando mi sono svegliato, la mattina seguente, ho avuto una grande idea. Chi di noi non vorrebbe rivedere i propri cari ancora una volta? Potrebbe essere un animale, un parente, un caro amico…
Chissà che qualcuno non possa riprendere l’idea alla base di AfterLife VR ed evolverla esponenzialmente. Fantasticando un po’, in un futuro neanche troppo lontano si potrebbe addirittura riprodurre la coscienza di una persona per consentirle di parlare in uno spazio virtuale, a partire dall’elaborazione di tutte le parole dette nell’arco di una vita tramite un microscopico registratore, che consenta di costruirne una vera e propria intelligenza artificiale. Stiamo esagerando? Questo dovrete dircelo voi. Torniamo al presente. Noi crediamo, o perlomeno vogliamo credere, che le discussioni riguardo AfterLife VR, ovunque abbiano luogo, siano sempre (o quasi) pacate e tranquille, avendo rispetto dell’argomento e dell’idea. E il motivo per cui lo pensiamo è That Dragon: Cancer. Una case history che da un lato ha fatto capire all’industria di poter osare maggiormente su temi scottanti, se trattati nel modo giusto. Dall’altro, ha permesso a una larga parte della comunità mondiale dei videogiocatori, informata sui fatti, di maturare e di affrontare l’argomento nella maniera corretta. Di capire un’altra volta che i videogiochi non sono solo semplice divertimento, ma possono renderci tutti più maturi fuori… e più consci dentro.