Scopriamo le nuove frontiere dell’immersive journalism

Di immersive journalism ne avevamo già parlato qualche tempo fa, in occasione della notizia dell’esperimento di Nonny de la Peña; più recente è invece la notizia della partnership tra FRONTLINE, un servizio pubblico di trasmissione no- profit statunitense, e la compagnia di realtà virtuale Emblematic Group che hanno annunciato essere al lavoro su almeno tre progetti per il prossimo anno che abbracceranno VR e giornalismo. Per questo scopo anche la Knight Foundation parteciperà, stanziando circa 580.000$ per supportare la sopracitata partnership.


FRONTLINE ha già rilasciato un documentario in VR che tratta dell’epidemia di Ebola (su Android e iPhone) per il Google CardBoard, mentre Emblematic Group ha prodotto numerosi articoli pezzi giornalistici in VR includendone anche uno riguardante Trayvon Martin (Android), ricostruendo gli eventi della notte in cui è stato ucciso tramite le registrazioni del 911.

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Riportiamo di seguito quanto scritto in un blog dal leader di FRONTLINE, Raney Aronson-Rath:

“Non ci sono protocolli riconosciuti quando si parla di realtà virtuale e giornalismo; identificheremo alcune chiavi editoriali, principi etici e tecnici, e li condivideremo con un pubblico più ampio così che queste tecnologie possano beneficiare della collaborazione tra sviluppatori.”

Una grande varietà di strumenti e approcci possono essere messi in campo in favore del giornalismo immersivo, ma quanto ognuno di questi strumenti possa essere usato bene per catturare la realtà è ancora sconosciuto. Il New York Times, ad esempio, è stato criticato per il modo in cui è stato fatto il video per un documentario in cui si parla degli effetti negativi della guerra sui bambini. In questo genere di video a 360° colui che riprende la scena deve essere fuori dall’obiettivo della camera, portando il soggetto stesso del video ad avere una differente interazione con il giornalista.

Ecco quanto dichiarato da Jake Silverstein, editor del NYT riguardo al giornalismo in VR:

“Di solito la realtà virtuale prevede coordinazione tra chi produce il video e il soggetto più che nei normali report giornalistici. Un soggetto potrebbe essere portato a ripetere un’azione più e più volte o aspettare finché il cameraman non sia fuori dal campo visivo della camera per completare la scena.”

In un articolo di Wired inoltre, il co-fondatore di Oculus Palmer Luckey ha detto la sua sull’argomento:

“Fino a che non avremo la tecnologia che può perfettamente catturare e ricreare cosa sta accadendo in un evento come la guerra, ci sarà sempre la possibilità di avere pregiudizi forti nel modo in cui le cose vengono presentate.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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