William Gibson ha provato Oculus Rift

La fantascienza letteraria è molto spesso premonitrice degli eventi tecnologici del nostro mondo. Non a caso, qui su Oculus Rift Italia abbiamo una rubrica chiamata “Virtual Library”, che permette di scoprire i libri che hanno preconizzato la realtà virtuale. Tra questi, abbiamo parlato anche di Neuromante di William Gibson, un classico della letteratura cyberpunk. Gibson ha permesso alle persone di affacciarsi sul futuro, prevedendo tutto, dall’alta moda alla realtà virtuale, e coniando il termine cyberspazio per rifersi a quello che sarebbe presto diventato un network informatico ubiquitario nel mondo reale. Ma cosa penserà Gibson di Oculus Rift, all’alba di una rivoluzione che rischia di investire il mondo in cui viviamo e il modo in cui ci relazioniamo con gli altri?

Gliel’ha chiesto il noto portale di informatica The Verge, che l’ha recentemente intervistato, e tra i vari temi toccati c’era anche il Rift. L’intervistatore ha fatto notare a Gibson come, quando si parla di realtà virtuale, le persone tendono sempre a citare Neuromante, e il concetto di allucinazioni vo0lontarie. L’intervistatore ha poi chiesto cosa l’autore pensasse della VR e come si sentisse all’idea che possa entrare in maniera così significativa nella vita delle persone. Ecco la sua risposta:

“Solo recentemente, tipo negli ultimi due mesi, ho potuto provare quella che credo sia l’ultima versione developer di Oculus Rift, Non ho potuto goderla al 100%, perché sono troppe miope per ottenere tramite le lenti una visione ottimale. Ma, in maniera un po’ confusionaria, mi ha colpito. E la prima cosa che ho chiesto alla persona che stava facendo funzionare la dimostrazione per me è stata: perché non ci siete riusciti nei tardi anni ’80, nei ’90, quando era sulla copertina di ogni rivista tecnologica del pianeta? Mi stavo chiedendo, perché tutto questo accade solo ora? E il demoist mi ha risposto che sostanzialmente stavo guardando uno smartphone. La tecnologia e l’industria smartphone si sono evolute fino a permettere di raggiungere questo livello ottimale dell’esperienza, destinato a perfezionarsi in pochi mesi.

william-gibsonAvevo letto, un decenni prima, una storia di Harlan Ellison chiamata Non ho bocca, e devo urlare, che è ambientata all’interno di un mondo virtuale, all’interno della programmazione di un’IA. E sono passati decenni da quando ho letto quella storia. Non penso che l’ho letta da quando ho scritto Neuromante. Semplicemente non ha niente del nostro linguaggio tecnico che è arrivato in seguito. Ma l’ambientazione era lì. E probabilmente non era la prima volta che mi imbattevo in un simile tema in realtà virtuale. Mi sentivo senza dubbio come se stessi usando un elemento già conosciuto. Non usato frequentemente nel passato, come le navi spaziale,  ma, tuttavia, i lettori di fantascienza non avrebbero avuto problemi nel capire tale concetto.

E alla fine non è arrivata. In un certo senso è arrivata, ha creato un po’ di clamore, e poi se ne è andata, mentre l’industria smartphone si è evoluta nello strumento di cui l’industria VR aveva bisogno per imporsi veramente.”

Colpisce davvero vedere che un autore del calibro di Gibson sia, allo stesso tempo, una persona così umile. Al punto da riconoscere che la VR non è una sua invenzione, quanto piuttosto un top0s della fantascienza già usato prima di lui. Tuttavia, è evidente come a rendere popolare tale concetto e a ispirare decine di inventori visionari sia stata proprio l’opera di Gibson. L’intervista si sofferma poi su un’altra interessante considerazione, che riguarda proprio il rapporto tra le invenzioni letterarie e gli effettivi progressi della scienza. Qualcosa che, come sappiamo, riguarda molto da vicino Oculus Rift, dal momento che Palmer Luckey per la creazione del visore si è ispirato chiaramente al romanzo Player One di Ernest Cline, Ma c’è un limite che uno scrittore deve osservare? Ecco la risposta di Gibson:

“So che questo succede fino a un certo punto, e ci sono persone che costruiscono cose reale che in un certo senso sono state ispirate da aver letto un pezzo di fantascienza. Ma mi sembra che in generale sia una proposta moralmente neutra. Eccetto… In una o due occasioni, mi è capitato di scrivere degli elementi di fantascienza che ho inserito in una storia, e su cui sono rapidamente tornato per rimuoverli, perché non volevo che nessuno li facesse davvero. Non volevo che nessuno anche solo pensasse di farlo. E quindi qualcosa che inizialmente adoravo, che ritenevo ovvia, e che credevo che nessuno avesse mai suggerito di fare… mi sono svegliato la mattina dopo e ho deciso che l’avrei tolta e non l’avrei mai menzionata altrove. Perché non voglio dare a nessuno quell’idea.”