Oculus Rift non avrà successo? Ma non fateci ridere!

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Ma anche a voi capita di infervorarvi quando sentite dire in giro che la realtà virtuale è solo la moda tecnologica del momento e che nel giro di pochi anni finirà nel dimenticatoio? E soprattutto, vi alterate se sentite sparlare del nostro benamato visore? Beh, noi di Oculus Rift Italia sì e pure parecchio. Ed è proprio quello che ci è successo tra ieri sera e questa mattina, non appena siamo venuti a conoscenza di un articolo pubblicato dai ragazzi di polygon.com. Nel lungo articolo in questione è sostenuta a gran voce l’impossibilità per Oculus Rift di diventare un successo commerciale e in poche parole viene predetto il fallimento più totale della tecnologia VR in generale. Naturalmente, questa tesi è portata avanti con una serie di argomentazioni più o meno lecite che noi di Oculus Rift Italia non solo non condividiamo, ma siamo anche in grado di confutare una per una. Se vi va di conoscere come, non vi resta altro che proseguire nella lettura di questo post, nel quale vi riportiamo ciascun punto preso in esame dai ragazzi di polygon.com, offrendovi di volta in volta la nostra opinione a riguardo.

Ecco come inizia l’articolo di polygon.com:

Nonostante le standing ovation ricevute dagli addetti al settore, e malgrado il sempre maggiore sostegno da parte della game industry, l’ultima corsa ai dispositivi indossabili per la realtà virtuale è destinata ad essere un fallimento commerciale. Sì, Oculus Rift ha riacceso l’interesse nei confronti dei visori per la realtà virtuale che non si vedevano in giro da decenni. E sì, la società che c’è alle sue spalle è stata acquistata da Facebook per miliardi di dollari. L’ultima versione del visore, il Crescent Bay, ha aumentato la risoluzione, alleggerito il suo peso e offerto la possibilità di avere un controllo dei movimenti della testa a 360°. Esso sembra essere la cosa più vicina a ciò che gli esperti di realtà virtuale definiscono “presenza”. A tal proposito, intervenendo su questo argomento durante un seminario lo scorso gennaio, il chief scientist di Oculus VR Michael Abrash ha affermato: “La presenza è una sensazione incredibilmente potente ed è unica con la VR, tant’è che non c’è modo di ricrearla con un altro medium. Molte persone la paragoneranno a qualcosa di magico”. In poche parole la presenza è l’impressione di essere lì, all’interno del gioco, sull’orlo di un precipizio o, perché no, di fianco all’immenso muro di ghiaccio di Game of Thrones, anche se in realtà non è così. Oculus Rift quindi regala la stessa e identica sensazione che si prova durante un sogno: l’impressione di essere lì per davvero e non essere capaci di muoversi, almeno non nei modi in cui lo si fa nella vita reale. Così, quando indossai per la prima volta Oculus Rift l’anno scorso in Germania, fui catapultato all’interno di un cinema e la sensazione fu talmente reale che a momenti cadevo dalla sedia quando ho tentato di appoggiarmi su un bracciolo inesistente. Non c’è quindi alcun dubbio che il lavoro fatto da Oculus VR sulla presenza sia stato sorprendente ragion per cui, una volta lanciato sul mercato dei consumatori, il visore potrebbe facilmente imporsi come la tecnologia più importante nel campo della realtà virtuale immersiva.

Dopo la stoccata iniziale, sembrerebbero quasi parole di elogio, se solo esse non venissero smontate subito dopo:

Tuttavia, il lavoro fatto sulla presenza non costituisce la soluzione a tutti i problemi, semmai soltanto a uno dei tanti che si possono riscontrare quando ci si cimenta nella VR. In effetti, se da un lato Oculus Rift riesce a soddisfare uno dei nostri sensi, dall’altro non fa nulla per tutti gli altri e per di più non riesce ad affrontare realmente il problema del movimento nel mondo virtuale. Ignorando le questioni di minore importanza, come liberare il visore dal cavo che lo tiene collegato al computer oppure ridurre il motion sickness avvertito ancora dagli utenti, occorre concentrarsi su problemi come l’introduzione di un feedback tattile e la possibilità di movimento senza rompere l’atmosfera immersiva. E’ vero che per il movimento sono state già offerte alcune opzioni, ma la migliore fino ad oggi prevede l’acquisto di una sorta di tapis roulant circolare, al quale l’utente viene legato per proteggerlo da cadute accidentali.

E qui ho qualcosa da obiettare. Mi sa che il collega autore di questo pezzo non ha mai sentito parlare della Carbon Design Group, l’azienda già responsabile del design del controller dell’Xbox 360 e del Kinect, alla quale Oculus VR ha affidato da tempo il compito di pensare a un sistema di input basato sull’utilizzo delle mani. Ma soprattutto, in quel di polygon.com, non è mai giunta voce dell’esistenza del Leap Motion Controller, la periferica in grado di farci muovere nel mondo virtuale con piccoli e semplici movimenti delle nostre mani, che ha già di fatto trovato diverse applicazioni in combinazione con il nostro benamato visore. E inoltre, per quanto riguarda gli altri sensi, proprio qualche giorno fa abbiamo trattato qui su Oculus Rift Italia alcuni dispositivi e prototipi per smartphone capaci di ricreare gli odori e produrre sensazioni gustative artificiali che, c’è da scommettere, nel giro di breve tempo verranno adattati per funzionare anche con la creatura di Palmer Luckey. Per di più, oltre al Virtuix Omni vagamente citato dal collega, il problema del movimento in VR è stato affrontato pure da altre periferiche come Virtualizer e ME/HCI 580, tanto per citarne alcune.

L’attacco del giornalista di polygon.com viene poi rivolto all’eccesso di aspettative ed euforia che Oculus Rift sta creando nei suoi fan:

Ciò non vuol dire che quello che sta facendo Oculus VR sia del tutto inutile, ma di sicuro le aspettative che sta creando specialmente tra i suoi fan sono irrealistiche: nessuno può negare che, al momento del rilascio sul mercato, il visore non sarà in grado di offrire ai consumatori la possibilità di avere il proprio ologramma. E’ esattamente quello che è accaduto 3-4 anni fa con i televisori 3D. Come avviene ora con Oculus Rift, anche all’epoca i siti di tecnologia erano entusiasti di questi apparecchi televisivi. Ma poi nel giro di un anno l’entusiasmo è andato scemando e la richiesta di mercato è man mano diminuita. La realtà virtuale sembra avere molto in comune con i televisori 3D. Innanzitutto, non c’è mai stata una vera e propria richiesta di tecnologia VR, se non da parte di fanatici hardcore dell’industria tecnologica. Come il 3D, anche la realtà virtuale può far sentire a disagio gli utenti. E per di più essa ha il suo punto di forza nell’industria di giochi per PC, la quale inevitabilmente trarrà benefici dal suo avvento, visto il conseguente aumento delle vendite degli hardware per computer. Non sto dicendo che la realtà virtuale e Oculus Rift rappresentano per il computer ciò che il 3D è stato per i televisori, ma certamente l’entusiasmo creato attorno ad essi è lo stesso.

Per concludere, il collega di polygon.com esprime la propria opinione sul futuro di Oculus Rift, prendendo spunto da un illustre parere:

Io non sono l’unico a non credere nella conquista del mercato da parte di Oculus Rift. Anche Michael Pachter, amministratore delegato di Wedbush Securities, è scettico sul decollo di questa tecnologia, almeno senza i fondi di Facebook. “Non credo che la VR possa conquistare il mercato senza un proprio software, e gli sviluppatori non si assumerebbero mai il rischio senza una solido visore alle spalle. L’acquisizione di Oculus da parte di Facebook ha dato agli sviluppatori maggiori certezze, ma è pur vero che essi non rischierebbero mai ingenti somme di denaro senza avere la sicurezza di un visore stabile”. Secondo Pachter, quindi, per far sì che Oculus Rift abbia successo, Facebook dovrà intensificare gli investimenti sull’hardware. Al contrario, io credo che, nonostante l’incremento degli investimenti da parte di Facebook, la versione per i consumatori di Oculus Rift sarà soltanto una meteora, piuttosto che un oggetto onnipresente nella vita degli utenti come smartphone e tablet. Per sfondare nel mondo tecnologico il visore dovrà essere capace di offrire un vantaggio superiore al disagio del suo utilizzo, e dovrà dimostrare come la sua prestazione sia davvero unica. Al momento non è ancora così. Ripassate tra un decennio.

Ne sei proprio sicuro caro collega? La “meteora” Oculus Rift, come la definisci tu, è stata in grado di vendere ben 25.000 unità del suo DK2 soltanto una settimana dopo il suo lancio sul mercato, e già nel mese di luglio i visori totali (tra DK1 e DK2) venduti da Oculus VR avevano sfondato il muro delle 100.000 unità. Queste ultime non hanno per niente deluso i loro compratori, né tanto meno coloro che hanno avuto la fortuna di provarle almeno una volta nella vita, anzi in giro per la rete si possono raccogliere a tale proposito soltanto feedback positivi ed entusiasti. Niente male per una meteora, soprattutto se si considera che stiamo parlando ancora di dev kit. C’è quindi da giurare che la versione per i consumatori di Oculus Rift produrrà un boom di vendite, che non andranno ad attenuarsi nel corso degli anni semplicemente perché quello di Palmer Luckey è il migliore visore in circolazione e, con i fondi finanziari di Zuckerberg dalla sua parte (che, tanto per la cronaca, continuerà a sborsare soldi finché non vedrà costruita “la prossima generazione delle piattaforme informatiche”, come da lui stesso confermato), non potrà fare altro che raggiungere la perfezione assoluta. E poi la tecnologia VR offre un’esperienza unica che nessun’altro medium è in grado di offrire. E delle esperienze uniche non se ne ha mai abbastanza, parola di chi come noi indossa il DK2 quotidianamente!