Brendan Iribe: genio, miliardario, playboy e… filantropo

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Oculus è amore. Noi lo diciamo da sempre. E ora abbiamo una ragione in più per dirlo. Palmer Luckey, il creatore del Rift, aveva del resto già annunciato la volontà di collaborare con scuole e università su scala globale, tra le altre cose organizzando e seminari per sviluppare sul device. Ma in Oculus VR non si è abituati a chiacchierare e basta. Ed è proprio per questo motivo che il CEO di Oculus VR, Brendan Iribe, ha donato all’31 milioni di dollari all’Università del Maryland, che ha frequentato dal 1996 al 1997.

Si tratta della donazione più alta in tutta la storia dell’Università del Maryland, e la cifra sarà usata per costruire un nuovo edificio dedicato all’informatica, che conterrà al suo interno un lavoratorio della VR. A quanto pare l’idea per la donazione è venuta in seguito all’acquisto di Oculus VR da parte di Facebook. Andando a trovare Zuckerberg, il CEO di Facebook, Iribe ne avrebbe approfittato anche per farsi un giretto nel suo vecchio campus, per scoprire che ben poche cose erano cambiate.

In questo tour dei ricordi Iribe incontrò Michael Antonov, oggi chief software architect per Oculus VR, che a sua volta donerà 4 miliomni all’università, che serviranno a costruire la struttura e a fornire una borsa di studio.

Brendan filantropo? Brendan nostalgico? Be’, sicuramente in parte c’è la voglia di essere ricordati: l’edificio infatti si chiamerà Brendan Iribe Center for Computer Science and Innovation. Ma non si tratta semplicemente di puro sentimentalismo. Qui si parla di affari. E, con questa mossa, Iribe potrebbe star costruendo una vera e propria fabbrica di geni che usciranno dall’Università già pronti per lavorare sulla realtà virtuale.

In un’intervista al quotidiano finanziario Business Insider, Iribe ha dichiarato: “[Il centro] si concentrerà principalmente sulla robotica, sull’informatica, sulla computer graphic e sull’interazione uomo macchina. Nel passato, i computer sono stati usati regolarmente come uno strumento, quindi non c’era bisogno di introdurre psicologici, o andare a scomodare la biotecnologia per capire come il computer influenza il cervello, in modo da creare un grande sistema operativo. Ma in VR, effettivamente, questo bisogno c’è.”

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