Patrick Connor: consigli per programmare in VR

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Per quanto la realtà virtuale si sia dimostrata una tecnologia adeguata ad accogliere la fruizione di opere videoludiche, il mondo degli sviluppatori, autori principi di tali prodotti, ha dovuto attraversare un calvario di assestamento, prima di operare con disinvoltura su dispositivi come Oculus Rift. Queste beghe nei processi di programmazione di un videogioco in realtà virtuale, sono ovviamente dovute a fattori quali la duplicità dello schermo, e alla maggiore quantità di dati da processare. Tutt’ora infatti, numerosi programmatori fanno fatica a realizzare un titolo per la realtà virtuale, senza essere costretti a rilasciare versioni provvisorie non ancora ottimizzate per il mezzo, che incorrono spesso in ritardi nella resa dell’immagine, dovendo attendere molto tempo prima di poter lanciare una versione completa del gioco. È per questo che, per non imbattersi troppo spesso in fastidiosi intoppi di sorta, uno sviluppatore dovrebbe tenere conto di alcune accortezze, nel corso del processo di realizzazione di un’opera in realtà virtuale.

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A fare un “corso accelerato” sulla materia, ci ha pensato Patrick Connor, il capo ingegnere di Project Morpheus, durante la Develop Conference che ha avuto luogo a Brighton questa settimana. Connor ha infatti tenuto un panel nel quale esponeva alcune sue considerazioni riguardo quelle accortezze da tenere a mente durante la realizzazione di un videogioco per il dispositivo di realtà virtuale in corso d’opera negli studi di Sony. Innanzitutto ha precisato qual è lo scopo che il colosso giapponese vuole raggiungere tramite Project Morpheus, cioè: “Creare un sistema in cui potersi sentire come nel mondo reale“. E quali sono le strade da prendere per ottenere tale obiettivo? Il primo consiglio dell’ingegnere capo, è quello di evitare il più possibile l’elemento cinematografico, che sebbene sia in grado di contribuire a spettacolarizzare una normale opera videoludica, nel caso della realtà virtuale rischia di sottrarre forza all’esperienza immersiva del mezzo. Una considerazione, anche se prettamente stilistica, tutt’altro che errata, considerato il carattere fortemente autoriale del linguaggio cinematografico, che tende a mostrarci qualcosa sotto il punto di vista di qualcun altro, piuttosto che darci la sensazione di star guardando un’altra realtà. Connor ha così proseguito: “Quello che stiamo cercando di fare è creare un forte senso di presenza e immersione. Ciò significa rendere l’utente in grado di credere che ciò che vede sia reale, senza distrazione alcuna“.

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Ovviamente, essenziale per restituire questa sensazione è la resa visiva, in cui gioca un ruolo importante una buona risoluzione dell’immagine, che però, sostiene Connor, è difficile ottenere nel campo della realtà virtuale, in quanto, spiega: “Il rendering per la visione stereo è abbastanza pesante, e un ampio campo visivo equivale a costi maggiori.” Sollevando questa problematica, propone infatti come soluzione un buon anti-aliasing, così da ammorbidire i contorni degli elementi in bassa risoluzione. Tale soluzione tecnica viene proposta sempre nella direzione di offrire un’esperienza realistica, in quanto l’occhio umano viene facilmente distratto dal rumore dell’immagine, rendendo più difficoltosa una sospensione dell’incredulità da parte del giocatore (quella stessa che uno spettatore adotta durante la fruizione di un film per accettare la realtà di quello che vede). L’anti-aliasing può ridurre notevolmente questo rumore. Un altro fattore, secondo Connor essenziale, sarebbe un alto frame rate, che non può essere inferiore ai 60 frame per secondo, ma è una soluzione che andrebbe adottata sin dall’inizio del progetto, e non in corso d’opera.

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Inoltre, il problema forse più difficile da arginare nella realizzazione di un videogioco in realtà virtuale, è la latenza dell’immagine. Considerata l’enorme mole di dati da processare, capita spesso che il rendering delle immagini impieghi diverso tempo prima di essere visualizzato, il che, oltre a compromettere l’esperienza immersiva, rischia nel caso della VR, di far girare la testa al giocatore. A quanto pare però, Project Morpheus ha deciso di sottrarsi a questa seccatura tramite un sistema di previsione, ovvero una serie di funzioni che permettono di renderizzare preventivamente determinati oggetti in un determinato punto dell’ambiente virtuale, a seconda degli spostamenti del giocatore. Connor ammette però: “Alcune persone diffidano del sistema di previsione, ma l’accuratezza della resa è molto meglio di quanto ci si potrebbe aspettare. Imparare a fidarsi di questo sistema è piuttosto essenziale”.

Ovviamente, come spesso accade con l’avanzare delle tecnologie, le potenzialità grafiche impiegabili sono tali da non poter essere gestite facilmente da un qualsiasi computer, e bisogna perciò adottare alcuni espedienti per ottenere il massimo delle potenzialità da quello che si ha a disposizione. La speranza, è che nonostante la forte rivalità che potrebbe nascere tra Oculus Rift, Project Morpheus, e gli altri visori per la realtà virtuale che stanno pian piano emergendo, gli sviluppatori possano aprire un dibattito per raggiungere una qualità media dei prodotti piuttosto elevata.

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