Palmer Luckey, il visionario creatore di Oculus Rift

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Palmer Luckey è un ragazzo appena ventenne, che ha dimostrato al mondo come si può rivoluzionare un’industria semplicemente guardando a quello che può essere migliorato. Così tanto da meritarsi di essere stato inserito nel 2012, dalla prestigiosa rivista business Forbes, nella lista dei 30 giovani under 30 che maggiormente hanno cambiato il volto del mercato del videogioco (insieme, ad esempio ad Anthony Burch che, per chi non lo ricordasse, ha contribuito alla scrittura di Borderlands 2).

Palmer Luckey ha creduto alla possibilità di una nuova interpretazione del videogioco migliorando il valore di un’innovazione tecnologica già esistente, come quella della realtà virtuale, dandogli nuova linfa e sbaragliando la concorrenza. Il suo obiettivo di trasformare un hardware sofisticato e pesante in un oggetto del desiderio per le masse, rende Luckey a tutti gli effetti uno Steve Jobs della realtà virtuale. Nonostante una simile ossessione per i dettagli, l’attaccamento a una visione più grande e una lungimiranza che rasenta la veggenza, l’ego di Luckey non può neanche essere lontanamente paragonato a quello smisurato del tecnocrate di Cupertino. Al contrario, Luckey è un ragazzo estremamente “down to earth”, con i piedi per terra, direbbero gli americani.

Scopriamo, in un’intervista dello scorso novembre, che il ragazzo è un grande appassionato di elettronica e la maggior influenza è stata quella di Nikola Tesla (ingegnere elettronico, fisico ed inventore serbo naturalizzato americano, che, tra le altre cose, ha contribuito allo sviluppo dell’elettromagnetismo) unita alla sua passione per i viaggi nel tempo e nelle dimensioni: film come Matrix e Ritorno al Futuro hanno di certo stimolato lo sviluppo del suo lavoro portandolo a pensare che le idee che gli affollavano la mente potevano essere davvero realizzate.

La sua avventura nel mondo della tecnologia non inizia però con il desiderio di creare qualcosa, bensì di comprarlo. Luckey, mosso quasi da una vocazione mistica, è alla ricerca di un sistema di realtà virtuale perfetto, fin da quando ha solo 16 anni. I caschi VR, costosissimi relitti dei primi anni ’90, all’epoca della sua adolescenza sono diventati poco più che cianfrusaglie per rigattieri, che Luckey riesce ad acquistare con un pizzico di fortuna a prezzi stracciatissimi. Raggranellando piccole cifre con i lavoretti più disparati, Luckey si aggiudica veri e propri trofei, come un visore dal prezzo iniziale di 97.000 dollari che il ragazzo riesce a portarsi casa spendendone solo 80. Ma l’operazione per Luckey perde ad un certo punto il suo valore puramente collezionistico, e assume piuttosto i connotati della ricerca scientifica tout court. Passando in rassegna una mole sconfinata di sistemi, qualcosa diventa evidente ai suoi occhi: nessuno vorrebbe giocare con quelle cose. E così, come tanti grandi inventori per caso, Luckey si rimbocca le maniche e fa la cosa più naturale, ovvero crearsene uno in casa. Scarta tutto quello che non va di quei sistemi, riprende quello che invece stranamente funziona e il suo obiettivo diventare creare qualcosa di effettivamente usabile. Alla fine, Luckey capisce che per realizzare qualcosa di buono c’è bisogno di usare il pensiero laterale. Insomma, buttare tutto quello che è stato ideato fino ad allora e ricostruire da capo le fondamenta della realtà virtuale.

L'entusiasmo che si legge nei suoi occhi quando presiede ad un'intervista, o più semplicemente lo sguardo che abbiamo visto durante l'ultima Gamescom dimostrano tutta la sua passione e mostrano tutta la semplicità delle sue origini di Long Beach, California.

Come nelle favole più belle, quelle che aspettiamo di leggere sul giornale al mattino per iniziare al meglio la giornata, il piccolo Palmer Luckey, cresciuto in una famiglia in cui il papà è venditore di auto e la mamma una casalinga, ha iniziato a studiare elettronica e i fondamenti di ingegneria da solo, da autodidatta, alimentando la sua passione attraverso quel mondo videoludico che noi tutti amiamo e viviamo ogni giorno. Diciottenne, attraverso il suo lavoro di ingegnere alla University of Southern California’s Institute for Creative Technologies, al Mixed Reality Lab, ha iniziato a mettere insieme i pezzi del suo puzzle, toccando con mano lo sviluppo della realtà virtuale e degli head-mounted display, fino a dar vita ad Oculus Rift: l’invenzione di una mente geniale che, come spesso capita per le grandi idee e la grande musica, è stata sviluppata in un garage, e più precisamente nel garage dei suoi genitori.

Le prime notizie online di Oculus Rift risalgono ai primi mesi del 2012, quando Palmer pubblica su Meant to be Seen, forum dedicato alle tecnologie di realtà virtuale, un topic che parla della sua creazione. Nell’immagine potete proprio vedere il suo post dove, con il nick PalmerTech, aggiorna gli altri utenti sui progressi della tecnologia che sta sviluppando. Nel messaggio, leggiamo anche della sua intenzione di lanciare il futuro Kickstarter dal quale avrebbe ricevuto i finanziamenti necessari per ultimare la sua periferica. Sempre in questo post, Palmer annuncia per la prima volta quello che sarebbe stato il nome della compagnia, Oculus, e spiega il significato del nome del visore Rift. Leggiamo sul forum: “L’ho basato sull’idea che il visore crea una spaccatura [in inglese “rift”, appunto NdR] tra il mondo reale e quello virtuale, anche se devo ammettere che è un’idea piuttosto sciocca!” Infine, notiamo anche come Palmer chieda aiuto agli altri utenti per rifinire la sua tecnologia e risolvere alcuni ostacoli progettuali. La dimostrazione che Oculus Rift, come tante altre invenzioni geniali, nasce dal basso e dalla comunità degli esperti programmatori e modder di Internet.

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Le previsioni di Palmer di chiedere fondi per il progetto su Kickstarter entro giugno 2012 subiscono un piccolo ritardo di due mesi. Ma la campagna lanciata ad agosto 2012 riceve ciononostante un successo assolutamente imprevedibile e straordinario. Ma vediamo di capire bene i motivi di questo boom, la cui storia in effetti è tutt’altro che casuale. Inizialmente Palmer, in maniera del tutto conforme alla sua natura modesta, ha intenzione di realizzare semplicemente 100 prototipi del visore. Successivamente, postando proprio sui forum di realtà virtuale, suscita l’interesse di un vero e proprio colosso del videogioco: John Carmack, il creatore di Doom. I due cominciano a scambiarsi opinioni, ma la rivelazione agli occhi del mondo avviene all’E3 del 2012, dove Carmack mostra DOOM 3: BFG Edition, terzo capitolo dell’arcinota saga sparatutto da egli creata. Ma la demo non è come tutte le altre: Carmack fa infatti provare il gioco ai giornalisti chiedendo loro di indossare un oggetto all’epoca ancora misterioso. Oculus Rift, appunto, che riceve in tempi non sospetti reazioni fortemente entusiaste. Manca ancora solo un tassello prima dell’approdo su Kickstarter, e che tassello.

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Palmer riesce infatti a ottenere un video di sostegno della campagna Kickstarter da due colossi del videogioco moderno. Stiamo parlando di Gabe Newell, fondatore di Valve (la compagnia che ha creato Half-Life, per intenderci) e Michael Abrash, genio della programmazione e tra i principali fautori del successo del classico Quake. Tutto è allestito alla perfezione per guadagnare la strada del successo. Quando Palmer decide di aprire il Kickstarter, il minimo iniziale impostato è di 250.000 dollari, ma quando il 1 settembre 2012 la campagna Kickstarter ha fine, i fondi hanno superato del 974% per questa cifra. Con una campagna da 10.000 partecipanti, il progetto Oculus Rift riesce a tirare su un capitale di oltre 2,4 milioni di dollari.

Insomma, possiamo dire che Palmer Luckey ha fatto suo il celebre aforisma attribuito al magnate delle automobili americano Henry Ford: “C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”.

Come se non bastasse l’aver messo in subbuglio l’intero mondo dei videogiochi, il buon Palmer Luckey, da bravo ragazzo qual è, ha contribuito a migliorare il programma di terapia I.C.T.’s Virtual Reality Exposure Therapy. Meglio conosciuto come “Virtual Iraq“, utilizzando e modificando il battle game Full Spectrum Warrior, il programma ha aiutato i soldati americani a superare il disturbo da stress post-traumatico causato dalla guerra che vivono ogni giorno.

Non dimentichiamo che il nostro Palmer Luckey è pur sempre un videogiocatore e non poteva mancare nella sua bacheca di trofei la creazione di uno dei forum più interessanti del panorama videoludico, il ModRetro Forum che, come si evince dal nome stesso, propone discussioni non solo su tutto ciò che riguarda i videogiochi di questa generazione ma fornisce spunti di discussione anche su console “retrò” ma che conosciamo benissimo quali il NES o il Sega Mega Drive.

Insomma il ritratto di una personalità semplice, di un ragazzo che è riuscito, con i mezzi a sua disposizione, a portare avanti lo sviluppo di un’idea. Basandosi su ciò che il progresso della realtà virtuale offriva fino ad allora è riuscito a scorporare dai progetti ciò che mancava, unendolo a ciò che lui e i videogiocatori del mondo volevano: la simulazione unita al massimo dell’esperienza immersiva, senza ostacoli e senza limiti. Il resto di quest’avventura è ancora da scrivere, certo, ma la lucidità dietro il progetto Oculus Rift e l’incessante lavoro a testa bassa del suo creatore, sono i presupposti per un fenomeno che assomiglia molto più a un matrimonio con l’industria del videogioco, piuttosto che una passeggera infatuazione.

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