Dovendo avventurarsi nel desolato catalogo Virtual Boy con lo scopo di scegliere un titolo che possa fungere da più autorevole rappresentante delle qualità del suo hardware, la scelta potrebbe facilmente ricadere su Space Squash. Non tanto perché il titolo firmato Tomcat facesse chissà quale sfoggio di innovazioni concettuali, ma piuttosto perché grazie alla sua particolare impostazione era possibile godere al meglio delle “ipotetiche” prestazioni tridimensionali del sistema in questione.
Mutuando, per grandi linee, il gameplay del sempiterno Pong – senza però dimenticare di arricchirne prima la formula tramite innesti fantascientifici caro al vetusto Shufflepuck Cafè e un pittoresco cast di battaglieri atleti spaziali – i suoi sviluppatori riuscirono infatti ad allestire un prodotto dal gradevole feeling dinamico che, pur palesando le tipiche limitazioni strutturali dell’esperimento, risultava quanto meno in grado di dare “del tu” alla tecnologia proposta dallo sfortunato sistema creato da Gunpei Yokoi.
Si potebbe a questo punto ribattere che, a fronte del suo futuribile look, il progetto proponesse in realtà un’esperienza di gioco senz’altro elementare, o magari puntare per l’ennesima volta il dito contro i fastidiosi effetti collaterali riportati da stomaco e meningi degli utenti dopo aver indossato il famigerato visore per più di una mezz’oretta. Alla luce della pochezza evidenziata dalla quasi totalità dei titoli di catalogo Virtual Boy, le qualità di Space Squash gli conferivano in ogni caso una certa dignità e questo dato non può che incidere in maniera determinante sulla sua valutazione a posteriori.
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