Recensione Shenmue I & II

Come ci si sente a recensire Shenmue I e II remastered? Ebbene, abbiamo cercato intelligentemente di preservare la giusta dignità di un titolo storico, osservandone l’evoluzione sociale e culturale. La saga di Shenmue non è altro che questo: una delle colonne portanti della storia videoludica, ora tornata per gridare vendetta. Il titolo ha vissuto per anni in un successo latente, galvanizzando l’attenzione del mercato su meccaniche mai viste in quel periodo. Nato tra il 1999 e il 2000, il progetto di Yu Suzuki osò e superò di anni i concorrenti, promuovendo un lavoro meticoloso oltre il pensabile. Si basti pensare che il genere del gioco in questione è open-world, un’etichetta che ha richiesto anni e anni per raffinarsi. Yu Suzuki fu un pioniere, captò sin da subito il futuro del mondo videoludico e si proiettò in esso, promuovendo un prodotto vivo e pulsante.

Potremmo stare ore a discorrere di quali meccanismi mosse all’interno dell’industria di allora, ma è bene rinfrescarsi la memoria prima di analizzarne la rinascita. La prima apparizione di Shenmue fu nel lontano 1999, il quale, sotto il vigile controllo di Yu Suzuki, vide la luce su Sega Dreamcast. La filosofia del creatore dell’opera fondava i propri dogmi sulla pura libertà del giocatore, frutto di un’immersività senza eguali. Il protagonista, nonché l’eroe stesso del titolo, è Ryo Hazuki, un ragazzo neo maggiorenne che decide di intraprendere un cammino per vendicare la morte del padre. L’opera si presenta come l’embrione del genere open-world, nel quale il protagonista ha piena libertà di movimento ed interazione. Tutto all’interno di Shenmue risponde al giocatore: ogni oggetto, personaggio e la stessa ambientazione si evolvono e compiono un ciclo costante. L’assoluta dedizione del creatore per i dettagli e il suo fedele rapporto con i fan della saga ha inciso notevolmente sul successo della serie, rendendola unica e cristallizzata nel tempo.

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Shenmue è il “C’era una volta” del genere open-world, un’opera immortale che ha ridefinito l’impossibile videoludico.

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Ed è proprio il tempo che ha, nel bene e nel male, inciso sull’atipico prodotto di casa Sega. Un fattore pericoloso, ormai, nell’insaziabile mondo in cui ci troviamo, ma che l’opera ha deciso di sfidare a testa alta. Sebbene gli echi di gloria del titolo risuonino fino ai giorni nostri, la remastered getta luci e ombre su ciò che sarebbe dovuto essere il testamento di Yu Suzuki. Shenmue giunge a noi preservando i tratti inconfondibili che lo hanno contraddistinto, dalle musiche ai dettagli narrativi eccellenti, lasciando, però, che il porting sia fin troppo fedele all’originale. L’impressione che abbiamo avuto giocando al prodotto è di un’opera orgogliosa, che non ha però raffinato i suoi difetti negli anni. Un peccato visto il bisogno di divulgazione che necessitano pilastri come Shenmue. I comandi di movimento, innanzitutto, risultano essere goffi e legnosi, un problema non da sottovalutare per i nuovi giocatori abituati a moveset più fluidi. Alcuni bug minori difettano inoltre il comparto sonoro, rendendo talvolta spiacevole l’esperienza immersiva proposta. Non bastano tuttavia queste pecche per emettere un giudizio definitivo ed affrettato: l’opera ha ancora molto da insegnare e gli acciacchi del tempo si fanno sentire.

L’ambiente dove si snoda la trama raffinata di Shenmue ospita decine di personaggi unici, che vivono in stretto contatto con le vicende del protagonista.

Come quando ammiriamo un cortometraggio animato di vecchia data, colmo di scene lente ma cariche di significato, così è anche Shenmue. L’opera in sé è viva, ma non si adatta ai ritmi moderni, come è giusto che sia. Per rendervi chiaro questo pensiero, basti pensare alla città di Yokosuka, dimora e cuore delle vicende del protagonista: all’interno di essa l’atmosfera che si percepisce è a cadenza ciclica, ognuno degli abitanti ha abitudini proprie e ogni attività ha un orario d’inizio. Perdere l’occasione d’interagire con queste persone in un determinato momento ci costringerà a dover ritentare al prossimo ciclo. L’impossibilità di imbrigliare il tempo di gioco e sovvertirlo in base alle proprie necessità a molti può sembrare un difetto, date le ormai blasonate nuove tecnologie, tuttavia il titolo funziona e ha funzionato perfettamente così per anni: un ingranaggio perfetto. Esente dell’evoluzione del mercato moderno, Shenmue si presenta come un mondo chiuso in sé stesso, un ambiente accogliente per il giocatore, nel quale le piccole cose, talvolta le più sudate, sono quelle che non vi scorderete più.

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L’opera è una piacevole riscoperta sia sul piano culturale che commerciale, non uscendo però dalla cornice ricamata in questi anni.

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Laddove i due titoli non falliscono è sicuramente nell’insegnamento che essi posso trasmettere alla nuova generazione di videogiocatori. Come abbiamo detto in precedenza, l’opera è una sorta di testamento moderno di Yu Suzuki, un prodotto da valutare e valorizzare non solo sul piano commerciale, ma anche su quello culturale. Cercare di adattare il titolo ai canoni attuali è pura eresia, oltre che uno snaturamento del contenuto stesso. In questo la remastered riesce bene a far filtrare il messaggio, educando i giocatori su ciò che è ha portato il vento del cambiamento, facendo nascere dal nulla un vero e proprio genere videoludico: l’open world. Immancabile il sistema di combattimento ispirato a Virtua Fighter, che apre al giocatore varie opportunità per raffinare le abilità marziali del protagonista, rompendo al contempo gli intensi ritmi investigativi. Sebbene sembri un aspetto secondario, il combat system rende il tutto più familiare e contestualizzato rispetto all’ambiente natio del protagonista.  Un’opera da studiare non solo per struttura ma anche per narrativa: difatti, perfino il più in ombra dei personaggi secondari ha un carattere unico e tutto da scoprire.

Combattimenti entusiasmanti e ben calibrati aiutano a bilanciare i momenti morti dell’opera.

Riuscire a trasmettere ciò che è stato Shenmue in tutti questi anni è davvero un’impresa ardua, anche per la più abile delle penne. Ci riserviamo perciò il dovere di non sviscerare tutto l’affascinante mondo rappresentato nel titolo, ma di provare a dar voi il significato che merita. Vi invitiamo dunque alla riflessione del prodotto stesso, nella sua armoniosa semplicità, ma senza troppe pretese. Di miracoli di grafica nella versione remastered non né vedrete di certo, anche se l’alta risoluzione ha ridato colore all’opera. Malgrado sia d’insegnamento per il futuro, ci aspettavamo qualcosa in più proprio sotto il profilo tecnico o artistico, giusto per dare spessore e senso di novità perfino al più fedele dei fan. La dignità contenutistica rimane ben ancorata all’originale, e il titolo resta a tutti gli effetti un must-have sia per cultura videoludica che per ispirazione.

Molto ci sarebbe da dire e da scrostare dall’universo senza tempo orchestrato da Yu Suzuki, ma, ahimè, il verdetto è sull’operazione di remastered e non solo sull’opera. Shenmue I & II Remastered è senza alcun dubbio un’esperienza di cui fare tesoro, un viaggio nella storia videoludica. Pertanto un acquisto che vi consigliamo caldamente, per spulciarvelo e godervelo in ogni suo dettaglio: ne verrà decisamente la pena. Ma al di là degli insegnamenti sempreverdi che ha fatto varcare nel nuovo millennio, la remastered rimane una semplice cornice ornamentale, un modo per diffondere il verbo del prodotto senza però tendere la mano a nuove sfide. Mettendo da parte la possibile presenza o meno di contenuti extra, che avrebbero strizzato l’occhio ai fan di sempre, il gioco rimane una piacevole riscoperta, anche a distanza di molti anni. Vi lasciamo dunque alla vostra intima esperienza con il prodotto e speriamo che questa possa farvi riscoprire un po’ della cultura videoludica che tanto decantiamo.