«È colpa del videogioco», «passa troppo tempo con i videogiochi», «i videogiochi fanno male». Le abbiamo parafrasate, ma sono queste le frasi che sovente si ascoltano nei media ancora ad alta diffusione ma sempre più anacronistici per l’informazione di massa, quali la televisione e i quotidiani cartacei. Per fortuna, però, c’è chi dall’industria si muove per far sì che queste frasi inizino a sparire sempre più, che il loro utilizzo scemi di anno in anno, di generazione in generazione. Ci si può affidare sovente anche a dei professionisti, non necessariamente del medesimo settore, ma di ambienti trasversali, perpendicolari, come l’apprendimento e l’istruzione.
Ci ha pensato Nintendo, con un evento consumatosi a Milano pochi giorni fa e pronto a celebrare l’arrivo di Mario Party 10 su Wii U. All’evento hanno partecipato, in qualità di relatori, Andrea Persegati, Direttore Generale Nintendo Italia e Alessandra Carenzio, Coordinatore del Dipartimento di Ricerca del Cremit e Docente di Tecnologie dell’Istruzione dell’Apprendimento e di Metodologia delle attività formative, Università Cattolica di Milano e Piacenza. Proprio da quest’ultima è arrivata una grande difesa del medium videoludico: non che ce ne fosse bisogno, avendo la stampa generalista e specializzata come platea, ma poter sentire il parere di chi insegna in che modo trattare l’apprendimento è sempre positivo e lungimirante.
Nasce tutto dalla paura, dal timore dei genitori nei confronti di un medium ancora non del tutto sviscerato e compreso, perché è da qui che nasce la principale delle problematiche: l’apprensione che il padre, o la madre, ha nei confronti del proprio figlio, ancora legato a dei dettami di apprendimento e di istruzione che palesano l’arretratezza, in alcuni frangenti, della nostra cultura, del nostro costume. «Quanto tempo trascorri con i videogiochi?», «con chi giochi?», «con chi ti relazioni?» sono le domande che più coinvolgono un adulto, perché il timore che il videogioco possa estraniare dal mondo è alto, è onnipresente. Fagocita qualsiasi altro sentimento.
Eppure il videogioco, come racconta Alessandra Carenzio, si esalta nel suo modo di incentivare l’apprendimento, di potenziare gli aspetti ludici e interattivi che fanno muovere il cervello più velocemente. Sono tre i gradi che intercorrono nell’identità tra la realtà e il videogioco, partendo da quella proiettiva, che spinge a immaginare cosa dovrebbe fare il personaggio che stiamo in quel momento comandando, arrivando poi a una maratona psicosociale: nessuno ti critica, nessuno ti contesta quando sbagli qualcosa durante la tua esperienza videoludica. Se a scuola si ha sempre remora nell’alzare la mano per provare a rispondere a una domanda del docente, a casa, videogiocando, questo timore non si palesa, non ha ragion d’essere. Si riprova sempre cercando la strategia giusta, fino a quando non la si ottiene. Arriva quindi il transfer cognitivo, là dove si va a trasferire un modo di fare per cambiare il proprio agire, riproponendolo in varie forme, fino a ottenere qualcosa di funzionale alla propria sfida.
Alessandra Carenzio smonta anche la paura che nasce nel vedere il proprio figlio incollato a uno schermo e isolato dal resto del mondo, d’altronde il gruppo di affinità che si crea videogiocando è forte tanto quanto quello che si realizza dando un calcio a un pallone per strada: quando si videogioca si fa parte di un mondo con una relazione vera. La soluzione, allora, risiede nel comportamento del genitore: piuttosto che proibire, dando così vita a una catena che parte dal proibizionismo e sfocia nell’azione compiuta più per sfida che per interesse, lasciarsi coinvolgere. Non c’è soddisfazione più grande per i bambini che condividere il proprio mondo con i genitori, creare una connessione, creare un ponte. La soluzione sta nel voler capire, nel voler apprezzare quello che sta accadendo nel mondo del proprio figlio e condividerlo con lui. Non basta guardare e vigilare: bisogna essere dentro il medium per capirlo.
L’allarme sociale è facile da stendere, perché studi e ricerche hanno dimostrato come il videogioco offra nuovi e alternativi strumenti di comunicazione tra generazioni, creando un terreno comune di dialogo e confronto. Lo ribadiamo, per chi ancora non l’avesse compreso a pieno.
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