[Gamescom2018] Provato The Division 2

Quando si pensa a Tom Clancy’s The Division, generalmente il pubblico si divide in due schieramenti distinti: chi l’ha amato fino alla fine e chi l’ha odiato senza remore. Lo shooter RPG di casa Ubisoft non si può dire che abbia avuto un destino proprio fortunato, partendo da una release un po’ zoppicante, composta di bug e molti bilanciamenti lasciati un po’ al caso, fino a un supporto post-lancio che ha iniziato a dare i suoi frutti un po’ tardivamente. Dovendo giudicare il titolo ora, molte delle pecche che lo hanno caratterizzato al tempo sono diventate solo un pallido ricordo, ma la risposta della community non è stata ugualmente così determinante come Massive Entertainment aveva di certo sperato. The Division 2 prende, quindi, forma da queste premesse, figlio del cocente desiderio di rinascere dalle ceneri del suo predecessore, e della volontà di dimostrare che, nonostante i tanti errori, si può sempre trarre un prezioso insegnamento. Annunciato il grande ritorno sul palco dell’E3 2018, Ubisoft mostra un titolo che non si discosta di molto dall’originale all’apparenza, ma scavando un po’ più a fondo si può vedere come l’intenzione della casa francese sia di presentare un prodotto che rappresenti la più naturale evoluzione del primo capitolo. Con questo pensiero ben saldo in mente, ci siamo apprestati a provare The Division 2 alla Gamescom 2018, e abbiamo deciso di trascrivervi qui le nostre impressioni.

L’ottimo punto di partenza su cui si poggia The Division 2 è la familiarità. The Division 2, come già accennato in precedenza, vuole essere niente meno che l’evoluzione diretta del suo predecessore, permettendo anche gli utenti più navigati di non subire il disagio di stravolgimenti in termini di gameplay e interfaccia di gioco. Pad alla mano, l’intento della casa svedese pare più che riuscito: complice anche l’esperienza maturata grazie al primo capitolo, e i numerosi consigli della community, il feedback del gunplay è piuttosto soddisfacente, favorito dall’apprezzabile miglioramento dell’AI dei nostri nemici e il bilanciamento alla loro resistenza ai colpi (finalmente!). Il sistema di progressione del nostro personaggio, seppur non troppo dissimile da quella impiegata in passato, rappresenta, invece, una piacevole novità, e lascia percepire una vaga aria di job system, vista già nei GDR più rodati. Raggiunto il livello 30, ovvero il massimo a cui possiamo aspirare, avremo modo di scegliere una specializzazione per il nostro personaggio, in grado di ampliarne l’arsenale e la dotazione di diverse abilità fondamentali in battaglia. Ma non solo, tale scelta fornirà al nostro agente un’arma esclusiva e decisamente letale. Potremo vedere in azione il Survivalist, armato di balestra, il quale sarà in grado di infliggere fastidiose alterazioni di stato, il Demolitionist potrà vantare un lanciagranate, ottimo per i danni ad area, e lo Sharpshooter, il cecchino per eccellenza, conterà su un fucile di precisione di grosso calibro in grado di perforare ogni cosa.

Mettendo ora da parte il gameplay, passiamo al vero punto forte di The Division 2: il level design. Grazie anche al buon impiego del Snowdrop Engine, le ambientazioni del titolo sembrano, rispetto a quelle che abbiamo avuto modo di percorrere negli scorsi anni, decisamente ricche di dettagli e di gran lunga più ampie rispetto alle anguste e grigie strade di New York, soffocate dall’ingente numero di grattacieli e palazzi. Il primo impatto creato dal livello che abbiamo avuto modo di giocare era notevole: gli spazi decisamente più aperti favoriscono anche un’area di gioco maggiormente calpestabile, importante a livello strategico se pensiamo che il gunplay di The Division 2 continua a poggiarsi su un sistema di coperture. Trovati dinnanzi ai ruderi di un aereo di linea precipitato, il cui suggestivo scenario è battuto dal caldo sole estivo di Washington D.C., siamo stati costretti a gestire un quantitativo non indifferente di terroristi, che parevano venire fuori da ogni angolo. Ma niente paura, questo senso di spaesamento iniziale passerà non appena riuscirete a prendere un po’ più confidenza con l’ambiente che vi circonda. Il livello di difficoltà che regola l’AI dei nemici non ha creato problemi, anzi, considerato che abbiamo messo mano su una build su cui si può ancora lavorare molto, il bilanciamento complessivo che regolava danni inflitti e subiti pareva già su un’ottima strada.

In conclusione, The Division 2 mantiene molti degli elementi che sorreggono tuttora il primo capitolo, e, partendo dall’enorme esperienza acquisita negli ultimi anni, Massive Entertainment prova a fare ammenda degli errori del passato, cercando di evolvere il marchio ad un titolo in grado di trattenere a lungo i molti ancora affezionati alla serie. Non a caso, le promesse di Ubisoft riguardo a un più nutrito contenuto in fase di endgame non possono che riaccendere il lume della speranza in molti delusi dalla precedente gestione. La scelta di ambientare le vicende di The Division 2 sei mesi dopo il suo predecessore, riesce a mantenere un buon senso di continuità, seppur gli agenti vengano ora spinti all’interno dei confini di Washington D.C. L’evoluzione grafica del titolo, anche se non rappresenta l’elemento più eclatante, contribuisce ugualmente ad arricchire l’esperienza. In attesa di effettuare altre prove, al fine di poter approfondire e giudicare al meglio il sistema di specializzazione in classi, possiamo per il momento affermare che il prodotto di Ubisoft Massive è sulla buona strada per riscattare la saga.

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