Time-Out: la longevità è davvero l’X-Factor?

L’uscita del chiacchieratissimo The Order 1886 e le inevitabili polemiche sorte intorno alla sua durata hanno riportato in auge una problematica balzata all’onore delle cronache nel corso della precedente generazione di sistemi. Dopo la tregua favorita dall’affermazione di multiplayer e DLC quali insostituibili prolungamenti dell’esperienza videoludica, si è infatti tornato a battibeccare su temi come l’eticità del prodotto e la levatura morale degli sviluppatori che non assicurerebbero al proprio pubblico un numero di ore di gioco tale da giustificare il prezzo di copertina. Mentre i più continuano a scontrarsi più o meno invano nel tentativo di stabilire il limite di tempo in grado di separare una truffa da una proposta onesta, alcuni si sforzano di spingere la dialettica ad un livello superiore interrogandosi sull’effettiva validità dell’equazione che individua nel videogame “lungo” un prodotto puntualmente migliore.

TheOrder1886
Sulle 5 ore di The Order 1886 si è detto ormai di tutto; alcuni hanno ad esempio sottolineato che in presenza di una robusta sezione Multiplayer il gioco avrebbe registrato pareri ben diversi. Secondo la mia opinione, a penalizzare questo progetto non è stata, tuttavia, la sola durata della storia, bensì la linearità del gameplay e l’eccessiva rigidità del level design.

Per come la vedo io, la longevità intesa come durata della modalità Single Player vanta carattere decisamente marginale, specialmente se rapportata all’intensità dell’esperienza di gioco. Così come non me la sentirei mai di definire Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles un disco peggiore di Mellon Collie and the Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins solo perché dura 39 minuti a fronte di 120, non mi sognerei pertanto di barattare le 9 ore scarse di Alien Isolation con le potenziali 80 di Shadow of Mordor. Il problema, casomai ve ne fosse uno, potrebbe eventualmente sorgere nel momento in cui il progetto non riuscisse a contro bilanciare la propria brevità con un solido coefficiente di rigiocabilità o se il rispettivo gameplay presentasse lacune tali da smorzare a piori ogni entusiasmo. Il semplice minutaggio di una partita non basta, in definitiva, ad assicurare la validità di un prodotto così come l’introduzione di dieci, cento, mille quest secondarie non riuscirebbe a nobilitare una storyline floscia.

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Molti videogame nascondono la relativa lunghezza della propria storia principale dietro una gigantesca mole di sotto quest più o meno forzate e obiettivi collezionistici francamente superflui. Ciò potrà assicurare una durata cospicua, ma non certo un’ esperienza di gioco migliore o più coinvolgente.

Fermo restando che ognuno rimane libero di stabilire in piena autonomia i parametri che hanno il potere di far grande un’opera, continuerei ad attribuire sempre e comunque al feedback di gioco globale – idealmente parlando, quel mix di impatto emotivo, spessore concettuale ed efficacia del gameplay – l’unica, ineluttabile forza in grado di giustificare davvero quei settanta, maledettissimi euro. E, tanto per tornare al casus belli, è stata proprio l’assenza evidente di questa miscela che ha impedito a The Order di valerli.

V MENSILE
V007 Mensile
Attivamente Impegnato nel settore editoriale dal 2003, ha scritto per le più note riviste videoludiche italiane, concentrandosi spesso nell'area Retrogaming. Dopo aver pubblicato il saggio Storia delle Avventure Grafiche: l’Eredità Sierra, svolge ruolo di docente presso l’Università degli Studi Link Campus di Roma in collaborazione con la Vigamus Academy rivestendo, in parallelo, la carica di Vice Direttore del mensile multipiattaforma V.