Se cercate nel web Sea of Solitude e cliccate sul sito ufficiale del gioco, le prime parole che leggerete sono di una potenza tale da farvi quantomeno venire un piccolo brivido lungo la schiena, e se non a voi, quantomeno a chi, in un modo o nell’altro, ha combattuto con quell’immenso mare fatto di lontananza ed emarginazione: “Quando gli umani soffrono di solitudine, diventano dei mostri. È quello che è successo a Kay. E ora solo i mostri possono farla tornare normale”. Una frase del genere potrebbe bastare ed andare oltre ad ore di gameplay e scelte artistiche, ma nella stessa viene citata una tale Kay, e forse bisognerebbe capire chi sia e qual è il suo ruolo all’interno di Sea of Solitude.
Sea of Solitude comparve per la prima volta in rete a marzo 2015, quando il team Jo-Mei Games rese noto ai suoi fan che avrebbe presentato il prototipo prima alla GDC di San Francisco e poi al Pax East. Una delle poche tracce reperibili in rete, fino a qualche giorno fa, era un’intervista pubblicata ad inizio 2016, in cui la Creative Director, Cornelia Geppert, raccontava cos’era Sea of Solitude e quali erano le meccaniche di gioco, mentre sotto scorrevano filmati di gameplay che facevano già intendere quale fosse la direzione artistica dell’opera. A fine 2016 venne annunciata la partnership con Electronic Arts, e che il gioco sarebbe entrato a far parte degli EA Originals, titoli di piccoli sviluppatori che EA decide di supportare perché vede in loro un potenziale fuori dal comune. Considerato quanto è stato mostrato pochi giorni fa all’E3, possiamo dire che diverse impressioni estremamente positive hanno raggiunto anche chi sta scrivendo questo articolo.
Innanzitutto la resa stilistica è senz’altro il primo elemento che salta all’occhio, e dona un impatto più che buono, grazie alla scelta dei colori all’interno di uno stile minimale ma non troppo, che strizza l’occhio ad un mondo manga con ritorni alla tradizione videoludica giapponese. La stessa Geppert, per sua ammissione, ha voluto unire atmosfere da studio Ghibli con fasi piuttosto inquietanti alla Silent Hill, e questo perché il gioco vive di due anime ben distinte, fatte di sensazioni diverse all’interno del gioco. Zone più tranquille caratterizzate da colori caldi e zone più scure in cui si manifestano i mostri che sono colonna portante del titolo. Ma chi sono questi mostri all’interno di Sea of Solitude? Se Gaber sul finire della propria vita parlava dei “mostri che abbiamo dentro” e, analizzando l’inconscio di ogni persona, di come questi inevitabilmente portino alla guerra, la Geppert li accosta ad un particolare condizione, la solitudine, sentimento che si tramuta in vere e proprie creature deformi che interagiranno con la protagonista.
Sea of Solitude è un gioco che esplora gli oscuri e profondi meandri dell’anima, e segue le vicende di Kay, una giovane ragazza che soffre fortemente la solitudine, tanto da averla trasformata in un mostro. Il suo compito sarà capire le cause del suo cambiamento e trovare il modo di tornare umana, all’interno di un mondo sostanzialmente desolato e galleggiante, in cui però la presenza di altri mostri, che non sono altro che la rappresentazione di altre e diverse forme di solitudine, l’aiuteranno a darsi delle risposte. Le premesse per un titolo introspettivo, in cui vincono la ricerca e l’esplorazione a discapito dei combattimenti, ci sono tutte. In questi anni il titolo è migliorato notevolmente anche a livello grafico, e basta accostare i vecchi video con l’ultimo trailer per rendersene conto. L’agitazione della Geppert all’ultima conferenza E3 di EA, visto il contesto, dimostra quanto Jo-Mei Games sia per niente abituato alla presenza sui palchi e ai riflettori imponenti, ma trasmette l’idea di come un’emozione sentita possa spesso valere più di tante parole scandite bene.
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