Parlare di Agony è estremamente difficile: sin dai primissimi trailer lanciati in concomitanza con l’inizio della campagna Kickstarter avevamo grandi aspettative su questo titolo. Chi vi parla non è un grande fan degli horror, eppure questo ci pareva avesse quel qualcosa in più che poteva renderlo speciale, che andava oltre la mera violenza mostrata. Eppure, siamo rimasti delusi. Oseremmo dire estremamente delusi, perché alla fine dei conti Agony è una gigantesca, enorme, opportunità sprecata.
Partiamo dall’inizio: il primo pretesto fornitoci per cominciare l’avventura, a dire il vero, è interessante. Vestiremo i panni di uno dei Martiri, condannati alle pene dell’inferno con il compito di incontrare la Dea Rossa, unico conforto per il nostro destino. Diversamente dagli altri Martiri, però, se dovessimo morire nel viaggio avremo la possibilità di controllare demoni e qualsiasi altro visitatore infernale che incontreremo. Questa piega narrativa dovrebbe permetterci di non morire mai veramente, lasciandoci proseguire in maniera lineare dall’inizio alla fine. Paradossalmente, invece, morire è più facile di quel che sembra. Se ci dimenticheremo (in realtà non viene specificato dal gioco) di togliere i cappucci ai condannati che incontriamo, addio seconde chance: ci ritroveremo a vagare in cerca di un corpo da possedere per pochi secondi, pena poi ripartire dal precedente checkpoint. Se proveremo a superare uno dei guardiani dell’inferno, mostri tutta-bocca che vagano con routine discutibili, incrociamo le dita: potrebbero infatti non vederci da pochi centimetri, così come invece potrebbero individuarci da dieci metri di distanza e iniziare a correrci incontro. In questo caso, non pensate di fuggire e nascondervi di nuovo, vi prenderanno comunque. Non solo le routine, quindi, sono discutibili: lo sbilanciamento dell’IA farà sì che presto la situazione diventi frustante, facendovi perdere ore e ore per superare un passaggio con un paio di guardiani. Inoltre quando morirete (perché morirete, tranquilli) pregate per i vostri salvataggi. A noi si sono danneggiati più e più volte i file di salvataggio, costringendomi a metà storia a ripartire da capo.
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Modelli identici tra loro e animazioni inspiegabili si ripetono troppe volte, inficiando anche sull’esperienza di gioco, soprattutto quando a girarsi di scatto è un guardiano.
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Eppure non voglio fare il Minosse della situazione. Agony non è un pacchetto da prendere, guardare e lanciare via con rabbia. Non tutto almeno. I ragazzi di Madmind Studios, infatti, hanno fatto un buon lavoro per quanto riguarda la direzione artistica: gli ambienti sono sempre ispirati e il mood generale è quanto di più vicino ad un girone infernale si veda da anni: la tanto discussa violenza del gioco, per quanto alle volte paia esagerata, rende l’idea di un titolo che cerca di rappresentare un inferno nauseante. Anche il level design e il comparto sonoro non sono completamente da gettare, sebbene ogni tanto qualche passo “sonoramente” falsato ci abbia guidato dritti nelle braccia dei guardiani. Al netto di questo, però, il titolo torna nella mediocrità anche sul piano tecnico: ritardi nei caricamenti delle texture e un generale pressapochismo delle stesse non rendono giustizia a quello che Agony “potrebbe” essere. Modelli identici tra loro e animazioni inspiegabili si ripetono troppe volte, inficiando anche sull’esperienza di gioco, soprattutto quando a girarsi di scatto è un guardiano. La distanza di visione è costretta dagli ambienti chiusi e dal basso livello di luminosità degli ambienti, che ogni tanto ci hanno portato alla morte proprio perché incapaci di vedere nulla. A completare il pacchetto si aggiungono anche blocchi invisibili, che, sia nella guida dello spirito che nel controllo dei Martiri, ci hanno costretto più volte a ricaricare il salvataggio.
Persino alcune scelte di design appaiono, se analizzate, incomprensibili. La totale mancanza di HUD può essere pensata come una scelta atta a non dare punti di riferimento al giocatore. Alla fine, in realtà , trasforma il gioco in una passerella senza fine, costringendoci a girare all’infinito in anfratti bui per capire dove siamo e soprattutto dove dobbiamo andare. I checkpoint che si disattivano dopo tre utilizzi dovrebbero dare un senso di angoscia, eppure anche qui grazie ad un IA pompata e al continuo malfunzionamento dei salvataggi il sistema cade nella frustrazione. Il fuoco delle torce dovrebbe teoricamente proteggerci, seppur per poco tempo, dai nemici.; nella pratica questi ci correranno addosso senza alcuna paura, facendoci ingenuamente domandare se un approccio stealth possa funzionare meglio. Tempo di accovacciarci e saremo di nuovo morti, basta trovare un guardiano “particolarmente attento” che decida improvvisamente di puntare proprio in direzione del tavolo sotto il quale ci siamo nascosti. Tutto, nel titolo, sembra puntare all’autodistruzione.
Tuttavia definire Agony “brutto” è sbagliato a prescindere, perché le idee ci sono e con uno sforzo in più staremmo parlando di un altro gioco. Corretto è definirlo “tecnicamente brutto”, una grossa occasione mancata da parte di uno studio che di esperienza ne ha oggettivamente poca. Nonostante questo, però, la qualità dovrebbe essere la prima milestone per un qualsiasi team di sviluppo. Agony rimane in un limbo dove le potenzialità sono bloccate da un comparto tecnico mediocre, senza scuse, dove si poteva davvero fare molto meglio. Purtroppo questo inficia ogni valutazione, insabbiando anche ciò che di buono c’è. Un’agonia, nel vero senso del termine.