Recensione L’alienista

Il filone poliziesco è, senza dubbio, uno dei più seguiti e imitati sul piccolo schermo. Basti pensare a CSI e ai suoi vari spin-off, NCIS, Law and Order e molti altri che sono stati pubblicati dal 2000 in poi. Con l’avvento di Criminal Minds, uscito nel 2005, il genere si è evoluto con l’aggiunta di elementi sicuramente più vicini a un thriller, come scene più violente e un’introspezione psicologica sia negli antagonisti sia negli eroi. Quando Netflix ha trasmesso il 13 ottobre 2017 Mindhunter c’è stato un avvicinamento a quel tipo di produzione, con una storia che racconta gli albori delle scienze comportamentali dell’FBI. A causa però di una non efficacissima pubblicità, l’opera non ha avuto il successo che meritava, passando decisamente in sordina. L’azienda statunitense ci ha però riprovato, distribuendo a livello internazionale (escludendo Stati Uniti e Francia) L’alienista, andata in onda originariamente sul network TNT a partire dal 22 gennaio, ora disponibile sulla piattaforma di streaming dal 19 aprile.

La serie, che trae ispirazione dall’omonimo romanzo dell’americano Caleb Carr pubblicato nel 1994 e facente parte di una trilogia di romanzi con lo stesso protagonista, è ambientata nel 1896 a New York dove viene rinvenuto un corpo orribilmente mutilato di un ragazzino che si prostituiva. Il commissario di polizia della metropoli, Theodore Roosvelt (che diventerà 5 anni dopo presidente degli USA), chiede aiuto al suo amico alienista Lazlo Kreizler, psicologo brillante ed eccentrico specializzato nella cura di malattie mentali. Quest’ultimo, insieme ad una squadra messa in piedi da lui stesso, indagherà sul caso, sulle tracce del misterioso killer. Anche se all’apparenza sembra una trama già sentita tantissime volte, la narrazione è ricca di sorprese e colpi di scena continui, grazie all’ottima sceneggiatura che rappresenta situazioni avvincenti e dinamiche, inserendo delle note action anche nei momenti d’indagine e di scoperta degli indizi.

I personaggi, sia comprimari che non, sono ben caratterizzati, perfettamente inseriti nell’epoca di riferimento, risultando estremamente credibili.

Merito anche del cast coinvolto, che è sicuramente uno dei punti di eccellenza della realizzazione. Daniel Brühl (Rush, Bastardi senza gloria), che interpreta il medico, è molto convincente e fa trasparire con la sua performance tutta la sua complessità; Dakota Fanning (La guerra dei mondi, Push), nei panni di Sara Howard, è magnetica e trasmette la freddezza e l’austerità della giovane che impersona; Luke Evans (Dracula Untold, La bella e la bestia), nel ruolo di John Moore, migliore amico del dottore e illustratore, è a suo agio nelle vesti di seduttore e filantropo. Un fattore sicuramente importante è il contesto storico, che è curato nei minimi particolari: dalle perfette scenografie ai riferimenti ai personaggi dell’epoca, tutto è ben rappresentato.

I due fratelli Lucius e Marcus Isaacson aiuteranno la squadra nelle analisi forensi.

Inoltre, mostrare in maniera così precisa la turbolenta evoluzione della Grande Mela sul finire del diciannovesimo secolo è un ottimo pretesto per denunciare alcuni grandi problemi che affliggevano la vita di allora: la prostituzione minorile, l’importanza minoritaria della donna, il razzismo, la corruzione degli organi statali e molti altri, che sono funzionali al racconto ma non tolgono mai la scena alla ricerca dell’omicida, che continua a rimanere in primo piano. Un’attenzione particolare è riservata alla rappresentazione dei ceti borghesi brutalmente contrapposta al degrado dei quartieri poveri della città, fornendo un quadro realistico degli ultimi anni che precedono l’arrivo dell’era moderna.

Anche se con qualche mese di ritardo, L’alienista, lanciato in tutto il mondo, dimostra senza mezzi termini di essere un prodotto davvero ben fatto.

Quello che però potrebbe comunque penalizzarlo è il mercato stesso, che è oramai saturo di opere di genere simile. Ciò non significa che non riesca a distinguersi dalla mole incredibile di cloni ma che, avendo una concorrenza spietata alle spalle, un pubblico abitudinario potrebbe preferire una maggiore linearità piuttosto che questo mosaico intricato di fatti e avvenimenti. Un altro difetto è il ritmo altalenante della vicenda che alterna episodi lenti e descrittivi ad altri maggiormente coinvolgenti ed impattanti. Se cercate una serie particolare, che fonde componenti storici e sociali ad uno svolgimento tipicamente investigativo, questo è quello che fa per voi, se invece volete deliziarvi con i soliti crime tradizionali, che hanno contraddistinto un ventennio di televisione, girate alla larga.

 

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