Recensione Yakuza 6: The Song of Life

Approcciarsi a Yakuza 6: The Song of Life, devo ammetterlo, è stato molto difficile per me. Lasciato l’ultimo capitolo canonico (Yakuza 5) ormai tre anni fa, i tentativi di SEGA compiuti con Yakuza Kiwami e Yakuza 0 avevano tradito la mia idea legata al Grand Theft Auto d’Oriente. Niente solita passerella di personaggi, una trama blanda e una confusione generata da un enorme numero di side-quest avevano fatto sparire il mio interesse. Eppure l’arco narrativo di Kazuma Kiryu aveva ancora molto da dire, e questo nuovo episodio è degno di metterne il punto. Giunto finalmente in Occidente come esclusiva PlayStation 4, è ora di riprendere la strada verso est e tornare negli intrighi della malavita del paese del Sol Levante.

Abbassate le armi, il Dragone di Dojima appare immediatamente pronto ad andare in pensione: abbandonato da tempo ogni ruolo all’interno del Tojo Clan, Kazuma Kiryu è disposto a farsi un giro in prigione per pulire il proprio nome e tornare a vivere tranquillo. Il tutto mentre Haruka Sawamura, lasciatasi anch’essa alle spalle la vita da pop-idol, torna al Morning Glory a curare gli orfani. La trama vera e propria inizia quando quest’ultima, soffocata dalle illazioni mediatiche che la legano all’ex-yakuza, decide di sparire misteriosamente dall’orfanotrofio. Uscito di prigione e tornato dai bambini, Kiryu dovrà quindi ripartire alla ricerca della ragazza, trovandola subito dopo un incidente stradale, morente, all’ospedale di Kamurocho. Tra le braccia di lei vi era un infante, Haruto Sawamura, che irrompe nelle vicende del protagonista cambiando totalmente la visione di un titolo che ha sempre fatto della violenza (e delle mazzate) la sua filosofia principe. Ora Kazuma è nuovamente responsabile di una vita, e mentre cerca chi e perché ha investito Haruka (rientrando nel vortice della malavita giapponese, stavolta nella nuovissima Onomichi) dovrà portare il bimbo con sé.

[su_quote]

Meno botte, più sentimenti: questo il concetto dietro uno Yakuza che fa della narrazione drammatica il proprio punto di forza.

[/su_quote]

Un pretesto interessante per una storia che tocca (finalmente) l’intimità di un personaggio che completamente “di ghiaccio” non lo è mai stato. Kiryu, calmo e apparentemente imperturbabile, raggiunge in questo capitolo la sua massima “umanità”: la relazione con il bimbo, la sua ricerca di Haruka e le risse sempre meno frequenti ci fanno conoscere l’uomo dietro il personaggio, favorendo un’immedesimazione che in questo capitolo tocca picchi molto alti. Meno botte, più sentimenti: questo è il concetto dietro uno Yakuza che fa della narrazione drammatica il proprio punto di forza, riuscendo sempre a tenere alta l’attenzione del giocatore. Non tutti i personaggi verranno ricordati, indubbiamente, ma il cast ristretto, quasi completamente rinnovato, e la regia dal taglio forte ci permette di apprezzare ogni singola stringa di dialogo, tenendoci incollati allo schermo anche nelle fasi iniziali, dove, dopo un veloce recap, la trama tarda a partire. Dopo qualche capitolo, sul totale di quattordici, la storia finalmente si avvia (alla maniera dei giapponesi) verso un epilogo dove ancora una volta i sentimenti la fanno da padrone e del quale è giusto non anticiparvi niente.

Un finale coi fiocchi?

La rivoluzione, però, non si è attuata solo a livello narrativo: anche il combat system e il miglioramento delle skill sono stati rivisti. Durante ogni incontro a pugni nelle strade sia di Onomichi che di Kamurocho le sensazioni sono chiare: Kazuma ora è forte, estremamente pesante e molto più lento. Questo grazie ad un sistema che, in linea con le scelte di design, premia una lotta più ragionata e accurata. Nonostante l’alleggerimento dalla pletora di mosse presenti nei precedenti capitoli, e dalle migliaia di skill sbloccabili, il tutto funziona alla perfezione. Scordatevi inoltre di incontrare (salvo rari casi) decine di nemici da affrontare contemporaneamente: in questa nuova pagina della saga gli avversari saranno pochi ma tosti, e capaci di darvi del filo da torcere se vi dimenticherete di perfezionare le vostre abilità. Un altro miglioramento evidente è stato apportato alla Heat Mode, ora capace ferire gravemente se usata al momento giusto. Entrare in questo stato di forma, inoltre, vi permetterà di iniziare alcune serie di combo (legate rispettivamente ai calci o ai pugni) dal taglio cinematografico e dipendenti dalla locazione in cui verranno attivate: se ci troveremo di fronte a pali o muri la combinazione prevederà molto spesso l’uso di quest’ultimi, con tanto di slow-motion ad acuire la sensazione di potenza.

[su_quote]

Vi capiterà spesso di fissarvi sui dettagli del volto di chi vi parla, sulle rughe d’espressione di Takeshi Kitano o su delle lentiggini appena accennate.

[/su_quote]

Anche l’occhio, però, vuole la sua parte: buttare per terra gli yakuza è divertente, senza dubbio, ma guardarli negli occhi doloranti mentre cadono lo è molto di più. Yakuza 6: The Song of Life ci regala queste e molte altre gioie, al netto però di alcuni errori tecnici. Tutta la storia, come già detto, corre sui binari del dramma anche grazie alla mimica facciale dei personaggi: tutti estremamente curati e verosimili, lasciano credere durante alcune cutscene di essere seduti comodamente su una poltroncina di un cinema. Vi capiterà spesso di fissarvi sui dettagli del volto di chi vi parla, sulle rughe d’espressione di Takeshi Kitano o su delle lentiggini appena accennate. Tutti i character che incroceranno il loro destino con il nostro hanno una caratterizzazione forte, lineamenti definiti ed espressioni radenti la realtà. Questa bellezza stride, però, con il contorno: la pulizia generale sfora nel vuoto degli ambienti, spesso troppo spogli. Stanze semivuote accompagneranno i nostri dialoghi, vicine (anche troppo) al concetto di KÅ«kan giapponese. Scendendo in strada la situazione non migliora granché: tolte le macchine e i passanti che animano la città, Onimichi è lontana dalle zone ricche di dettagli viste nei capitoli precedenti. Difficile chiudere un occhio, nonostante la cura di dettagli come i riflessi nei vetri o la trasparenza delle porte scorrevoli, che ci permette di vedere sia dentro che fuori di una casa, siano degni di lode.

Nelle side quest vi capiterà anche questo

Scendere in strada, alle volte, significa anche farsi un giro nella vita mondana offerta dalla città di mare. Onimichi ha un’offerta esigua rispetto alle location che l’hanno preceduta, purtroppo, ma non si lascia sfuggire qualche colpo di classe utilizzando egregiamente minigiochi come la pesca (totalmente rinnovata), il Puyo Puyo e Virtua Fighter 5 Final Showdown (il titolo completo!). Taglio quantitativo anche per le sub-story, solitamente presenti in grande quantità, che in questo capitolo saranno solo cinquanta. Fatto questo, però, SEGA le ha riqualificate dando loro un grande spessore narrativo. Tutto quello che serve per intrattenere gli utenti molto a lungo, grazie anche al nuovo roster di canzoni presenti nell’ormai onnipresente karaoke. Proprio parlando di quest’ultimo tocchiamo un altro tasto dolente del titolo: il comparto sonoro. Sebbene gli effetti audio in sé siano perfetti, altra musica suona invece quando parliamo dei temi d’accompagnamento ai dialoghi e alle cutscene. Ogni tanto, infatti, il grammofono andrà fuori giri, proponendo musicalità che mal sposano le azioni o il mood del momento, facendo perdere la magia. Di tutt’altra levatura invece il doppiaggio giapponese, sempre perfetto nel lip-sync (anche nelle side quest) e nel contribuire alla creazione dell’atmosfera.

Yakuza 6: The Song of Life è un titolo che azzarda una chiusura completamente diversa dai canoni a cui ci aveva abituato. Si può criticare o amare, ma oggettivamente questo nuovo capitolo funziona. Il Dragon Engine tiene in piedi una struttura narrativa di una bellezza tecnica invidiabile, scendendo (ahimè) un po’ a compromessi quando si tratta di sezioni di gioco. Tutto il resto è fatto egregiamente, con un approccio alla “faccio meno ma faccio meglio” simbolo di quella SEGA of Japan che da tempo mancava nelle nostre console. Kazuma Kiryu può quindi andarsene in pace, lasciando un caldo ricordo nei nostri cuori che dovranno abituarsi al fatto che il Dragone di Dojima, questa volta, non tornerà.

V MENSILE
V007 Mensile