Recensione Shadow of the Colossus

Sono passati 13 anni da quando Shadow of the Colossus debuttò sulla gloriosa PlayStation 2. Fumito Ueda aveva già dimostrato le sue doti con ICO, ma fu proprio con la sua seconda creatura che venne universalmente riconosciuto come uno dei più brillanti e visionari game designer del settore. Il successo di critica e pubblico consacrò il titolo come vera e propria icona dell’epoca PS2, tanto da essere successivamente rimasterizzato nel 2011 insieme ad ICO su PlayStation 3. L’opera di “svecchiamento” venne affidata a Bluepoint Games, e ancora una volta il titolo riuscì ad ammaliare migliaia di giocatori conquistando anche un nuovo pubblico che non aveva provato l’originale. Questo ha fatto da apripista per The Last Guardian, ultimo capitolo della particolare trilogia di Ueda uscito nel 2016 e capace di ottenere pareri piuttosto contrastanti ma tutto sommato positivi. In molti sono rimasti quindi sorpresi quando, durante l’E3 dello scorso anno, Sony ha annunciato che Shadow of the Colossus sarebbe tornato anche su PlayStation 4, questa volta con un vero e proprio remake con un comparto tecnico ricostruito da zero. Siamo quindi partiti nuovamente in sella al fido destriero Agro per affrontare la solitaria e malinconica avventura di Shadow of the Colossus, consapevoli che la grafica poteva anche essere stata rinnovata, ma le emozioni sarebbero sempre state le stesse.

Parlare di Shadow of the Colossus non è per nulla facile considerata la sua unicità. Normalmente quando si vuole spiegare la tipologia di un gioco il modo più semplice ed efficace è quello di fare un paragone con un altro titolo, ma in questo caso è praticamente impossibile. Già ai tempi della sua prima uscita, il gioco si era distinto per essere un’esperienza letteralmente unica, e a distanza di 13 anni incredibilmente è ancora così. Eppure il concept alla base è estremamente semplice: potremmo riassumere brutalmente con “trova il Colosso, uccidilo, trova il prossimo, uccidilo, ripeti ancora”. Fine. Per quanto la mappa di gioco sia decisamente vasta, infatti, non ci sono città da esplorare, interazione con altri personaggi o schiere di nemici da uccidere per salire di livello. Tutto ruota intorno alla ricerca e uccisione dei Colossi, i veri protagonisti del gioco. Anche a livello di trama, come tipico di Ueda, la situazione è piuttosto fumosa e particolare. La prima sequenza ci mostra un guerriero arrivare in quello che viene descritta da una voce narrante come una terra proibita. Il giovane arriva ad un tempio abbandonato con il cadavere di una ragazza, e una volta posizionato il corpo su un altare appare una luce divina che, con una voce sia maschile che femminile, parla in una lingua incomprensibile, presentandosi come l’entità Dormin. Il guerriero chiede se la leggenda secondo cui sia possibile riportare in vita un defunto sia vera, ed essa conferma come sia effettivamente possibile, e che l’unico modo sia quello di distruggere i 16 idoli presenti nel tempio. Le statue, tuttavia, non possono essere frantumate in modi convenzionali, anzi per farlo bisogna uccidere ciò che rappresentano, ovvero i 16 Colossi. Dormin avverte che il prezzo da pagare sarà comunque alto, ma questo non spaventa il nostro eroe.

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 Il vero potere di Shadow of the Colossus è proprio questo, riuscire a creare un legame emotivo tra il giocatore e un protagonista di cui non sappiamo letteralmente nulla.

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Questo breve incipit narrativo è tutto ciò che il gioco offre per le quasi tutta la sua durata, infatti non viene minimamente spiegato chi sia la ragazza, quale sia il suo legame con il protagonista e soprattutto cosa siano i Colossi e perché vagano in questa terra proibita. Le risposte arrivano unicamente nella lunga, bellissima e straziante sequenza finale che si ricollega ad ICO, anche se molte domande purtroppo rimangono ancora irrisolte… ma non importa. Il vero potere di Shadow of the Colossus è proprio questo, riuscire a creare un legame emotivo tra il giocatore e un protagonista di cui non sappiamo letteralmente nulla, così come sui Colossi. Eppure ogni sfida contro i titanici nemici rafforza questa connessione, e anche noi, nonostante siamo comodamente seduti in casa con il pad in mano, avvertiamo la fatica dei movimenti del nostro alter ego mentre si affronta una lotta apparentemente impari, solo per scoprire che quelli veramente in svantaggio non siamo noi ma i Colossi. Creature misteriose dalla forma umana o animale apparentemente invincibili, ma che presentano dei punti deboli che se colpiti li portano in poco tempo a soccombere tra atroci sofferenze. Vederli crollare da una parte provoca gioia per il completamente della missione e l’aver compiuto un altro passo verso la realizzazione del nostro desiderio, ma dall’altra lascia una profonda sensazione di “disturbo” per aver eliminato definitivamente un qualcosa di unico, maestoso e nobile.

Un moderno Davide contro Golia.

A livello di gameplay puro ci troviamo quindi di fronte ad una sorta di “””platform / puzzle game””” (le triple virgolette sono volute), dove ogni Colosso rappresenta quasi un enigma vivente. Ognuno infatti richiede una specifica strategia per essere sconfitto, e se la prima metà richiede metodi abbastanza intuitivi, la seconda parte invece potrebbe seriamente mettere alla prova le vostre capacità di ragionamento e osservazione. Una volta individuati i punti deboli, infatti, la vera difficoltà è raggiungerli, per cui bisogna trovare il modo di scalare i Colossi sfruttando alcuni appigli sul loro corpo ma anche l’ambiente circostante, e soprattutto facendo sempre particolare attenzione alla barra della resistenza, visto che naturalmente i nemici non staranno fermi a guardarvi mentre vi arrampicate su di loro, ma cercheranno in tutti i modi di farvi cadere agitandosi. Bisogna quindi avere grande pazienza nel capire quando tenere salda la presa, cercare una zona dove riposare qualche secondo e quando invece caricare un colpo e infliggere danno. Una volta sconfitto il Colosso si viene riportati automaticamente al santuario iniziale, e alzando la spada in una zona illuminata dal sole basterà seguire il raggio riflesso che punterà verso la posizione del prossimo avversario. Le vaste lande che compongono il mondo di gioco sono composte da ambientazioni piuttosto varie come distese praterie, montagne, deserti, foreste e laghi, tutte accomunate da un costante senso di vuoto e desolazione accentuate dall’inquietante silenzio spezzato solo dal rumore degli zoccoli di Agro. Per completare la storia vi basteranno appena 6 ore circa, a meno che non vi vogliate dedicare alla ricerca di tutti i collezionabili, in quel caso il numero di ore aumenta notevolmente. Una volta completata l’avventura si può affrontare una nuova partita+ e accedere alle sfide a tempo, dove tra l’altro si possono sbloccare oggetti ed equipaggiamenti che non sono possibili da avere all’inizio.

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Su PS4 Pro si può scegliere un upscaling della risoluzione in 4K rimanendo a 30 fps oppure optare per un incremento della fluidità fino a 60 fps.

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Ma come si comporta a livello tecnico questo remake di Shadow of the Colossus? Bluepoint Games ha svolto un lavoro semplicemente eccellente. Il gioco è una vera meraviglia per gli occhi, in particolare le ambientazioni e soprattutto i Colossi ora appaiono più dettagliati che mai, aumentando ancora di più il senso di maestosità e impotenza che si prova davanti a loro. Forse un pochino si è perso quel senso di “mistico” che si aveva nella versione originale in favore della ricerca quasi del fotorealismo, ma è innegabile che non si può non rimanere affascinati davanti ad alcuni scorci o nemici. Inoltre è possibile immortalare questi momenti grazie alla modalità Foto, unica vera novità del remake a livello di contenuti, oltre ad una nuova mappatura dei comandi più moderna, anche se è sempre possibile scegliere il layout originale o una versione ibrida. Gli sviluppatori, inoltre, hanno spesso ribadito come abbiano modificato unicamente il comparto tecnico, mentre, per il resto, il remake utilizza gli stessi codici del gioco originale per garantire la maggiore fedeltà possibile, anche se questo ha portato al ritorno di alcuni vecchi problemi come una telecamera piuttosto scomoda e alcune compenetrazioni poligonali di troppo. Su PlayStation normale il gioco gira a 1080p e 30 fps fissi, mentre su PS4 Pro si può scegliere un upscaling della risoluzione in 4K rimanendo a 30 fps oppure optare per un incremento della fluidità fino a 60 fps, valore da non sottovalutare considerato che l’originale purtroppo aveva cali piuttosto evidenti che minavano l’esperienza. L’unica vera imperfezione riscontrata è il caricamento di alcune texture in HD che avviene con leggero ritardo, per cui a volte capita di vedere letteralmente l’erba o altri elementi crescere intorno a noi. Personalmente comunque consiglio, se avete la Pro, di impostare il 4K solo per fare qualche foto o in momenti tranquilli, e importare invece i 60 fps durante i combattimenti.

In conclusione il remake di Shadow of the Colossus si presenta come un’opera che fa rinascere graficamente un capolavoro delle passate generazioni, riuscendo al tempo stesso a mantenere quasi inalterata l’essenza dell’originale. Si tratta di un’esperienza unica che tutti dovrebbero provare almeno una volta, per cui non posso che essere felice di questa nuova incarnazione del titolo, e non mi stupirei se anche in una eventuale PlayStation 5 o 6 vedremo una eventuale raccolta con i remake anche di ICO e The Last Guardian. Si tratta di un’avventura che purtroppo o si ama o si odia, ma qualunque siano i vostri gusti sicuramente Shadow of the Colossus vi lascerà dentro qualcosa. Se poi vi soffermerete ad analizzare le varie simbologie, rimandi e metafore scoprirete che si tratta di un titolo che parla poco ma che ha moltissimo da dire, e anziché spiegare tutto con fiumi di testi lascia molto all’interpretazione e alle immagini il lavoro di colpire il cuore dei giocatori. Il titolo di Ueda ci era riuscito già 13 anni fa, e questo remake è l’occasione perfetta sia per rivivere quelle emozioni sia per provarle la prima volta.

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