La trama è importante nei videogame? La risposta, senza giri di parole, la do subito: a volte sì, altre no. Generalmente, tutti i titoli hanno un minimo di storia, un motore che dia il via, che motivi l’utente a prendere certe decisioni, e che, implicitamente, invogli la gente a giocare. Ovviamente ci sono le eccezioni, come possono essere i prodotti mobile o quelli sportivi: cosa c’è di meglio per spronarvi di una Champions League? Nel corso dell’articolo non convinceremo nessuno ad acquistare opere che puntano sulla narrativa ma, a livello personale, l’intervento di Bethesda di qualche settimana fa mi ha commosso e mi ha spinto a riflettere, riportandomi alla mente i vecchi tempi in cui il single-player era (quasi) l’unica tipologia disponibile sul mercato.
I giochi con la trama sono universalmente associati alle campagne single-player, perché, giustamente, non essendoci sfida con altri utenti, per essere invogliati all’avventura serve qualcosa di veramente interessante. Esempi, da questo punto di vista, sono i vari Uncharted, Assassin’s Creed, The Last of Us, Red Dead Redemption o Fallout, tanto per citarne alcuni, che possono avere sì qualche interazione online fra i player, ma che vengono acquistati per le loro storie. Se tutto questo non dovesse bastare, ecco i vari achievement, ovvero trofei di bronzo, argento e oro che richiedono di giocare il titolo più volte per soddisfare le condizioni, fino ad arrivare al platino, cioè il completamento al 100%. Non che nel caso dei multiplayer non contino, ma in prodotti online la sfida c’è sempre mentre per i single-player deve essere trovata in solitudine.
Nel corso degli scorsi mesi, molte persone all’interno di questo settore hanno dichiarato come stia morendo il single-player, lasciando intendere che tutti i videogame del futuro saranno multiplayer. I titoli che, dal punto di vista economico, sono un successo, effettivamente sono da giocare insieme ai propri amici online: League of Legends e Overwatch sono tra i più remunerativi, dunque la bilancia sembrerebbe pendere dalla loro parte, sempre se analizziamo i dati comparati all’aspetto finanziario. Otre ai già citati, i trend del momento sono Call of Duty, GTA V, Destiny 2, FIFA 18 e PlayerUnknown’s Battlegrounds, con una grande componente multiplayer dunque, anche se in alcuni casi è possibile provare le modalità offline, che dà accesso a una campagna che spiega più nel dettaglio la storia dei personaggi e, più in generale, le vicende del prodotto.
A volte invece è bello raccontarsi una storia. A dicembre Bethesda, specializzata in questo tipo di titoli, ha addirittura lanciato una campagna in favore dei single-player, con un video che ha visto protagonista Lynda Carter, attrice di successo e Wonder Woman degli anni ’70, e doppiatrice di grandi franchise, come The Elder Scrolls e Fallout. Nel filmato, intitolato #SavePlayer1, c’è una sorta di sensibilizzazione per salvare una specie a rischio: gli utenti single-player, che anno dopo anno, vedono aumentare i prodotti multiplayer. Purtroppo questo puntare meno sulle campagne e sulle storie non significa che le aziende siano cattive o che non gli importi dei gusti degli utenti: fallire con un videogioco significa grandissime perdite di denaro e, nel caso di piccoli studi, anche la chiusura. I colossi possono permettersi rischi, anche se non sempre questo è possibile: basti pensare ad Atari, che a causa di alcune decisioni si è trovata a passare dall’Olimpo al baratro nel giro di pochi anni.
Ci sono anche aziende, come Telltale Games, che hanno deciso che la trama è l’elemento principale e che ha un ruolo centrale all’interno del titolo. È la trasposizione videoludica del vecchio librogame, in cui c’è una storia che si snoda in base alle nostre scelte: possiamo valutare la situazione e rispondere sì o no a una domanda, se andare a destra o sinistra, e così via. Ogni nostra “intromissione” nell’avventura dunque, contribuirà a darci un finale diverso, rendendoci contemporaneamente attori e sceneggiatori, seppur limitati nelle azioni. Una volta si trattava solamente di testi che apparivano sullo schermo ma, nel corso degli anni, è diventato possibile muoversi all’interno degli ambienti e inserire un minimo di elementi action, che rendano un po’ più interattivo il prodotto.
In conclusione, un titolo single-player spesso ha bisogno di una trama per intrigare l’utente e dunque invogliarlo a giocare, mentre per quel che riguarda il multiplayer online le motivazioni sono vincere, magari in compagnia dei propri amici o compagni di squadra. Insomma, ognuno ha i propri gusti, ma quello che deve fare un videogame è sempre far sì che la gente sia interessata al prodotto, e che si impegni a raggiungere uno scopo, uno qualunque: salvare l’umanità da una setta (Assassin’s Creed), da un virus (The Last of Us) o da una razza aliena (Prey), vincere campionato, coppa nazionale e Champions League (FIFA o PES), uccidere gli avversari (League of Legends, Call of Duty e i vari sparatutto) o semplicemente rimanere vivi più degli altri (PlayerUnknown’s Battlegrounds). C’è sempre bisogno di una storia? No, ma se siete in cerca di emozioni, la risposta probabilmente sarà affermativa.
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