Recensione Philip K. Dick’s Electric Dreams

La fantascienza è sempre riuscita a incastrarsi perfettamente con il mondo della televisione: tutto cominciò con The Twilight Zone, conosciuta ai più come Ai Confini della Realtà, che debuttò sul piccolo schermo nel lontano 1959. Dopo svariati esperimenti che ibridavano il genere mischiandolo al thriller o al poliziesco, come nel caso di X-Files, Fringe e Lost, Netflix nel 2011 lanciò una bomba chiamata Black Mirror. Una serie antologica da un fascino particolarissimo, con una carica emotiva notevole e con una sceneggiatura davvero ben fatta. Nel corso degli anni si sono susseguite trame più o meno riuscite, ma con un leitmotiv molto chiaro: la visione pessimistica della tecnologia. Il 17 settembre 2017 è uscito solamente in Regno Unito su Channel 4 (dal 12 gennaio diffuso globalmente su Amazon Prime Video), un prodotto molto ambizioso e azzardato: Philip K. Dick’s Electric Dreams. Questo lavoro, ideato da Roger D. Moore e Michael Dinner, trae ispirazione da racconti dell’omonimo scrittore, che ha inventato pietre miliari come Il Cacciatore di Androidi e La Svastica sul Sole.

L’opera è composta da 10 episodi dalla durata di 45 minuti ciascuno. Ognuno di essi è basato su una storia breve, con dei massicci interventi di rielaborazione del soggetto di base in alcuni casi. Questo perché il materiale originale risale a un lasso di tempo a cavallo tra il 1953 e il 1955 e rendere cinematograficamente il futuro immaginato in quel periodo è una cosa in parte anacronistica, perché distante dalla nostra concezione attuale dell’avvenire. Tra le avventure narrate, quelle realmente incisive si contano sulle dita di una mano e affrontano diverse tematiche: se in Real Life l’argomento principale è l’ambiguo rapporto tra la vita reale e la realtà virtuale, in The Hood Maker è al centro il problema del razzismo. Meritano di essere ricordati anche Human is, con un finale spiazzante e The Commuter, forse il migliore in assoluto, con un’atmosfera azzeccata.

Un aspetto che non è assolutamente da sottovalutare è il cast: tutti nomi noti di Hollywood che hanno creduto fermamente in questo progetto.

Bryan Craston, Steve Buscemi, Timonthy Spall, Juno Temple giusto per citarne alcuni che, con il loro talento, sono riusciti a innalzare il livello complessivo della realizzazione, che risulta essere noiosa in alcuni fatti narrati. Un altro elemento importante è la scenografia: le ambientazioni sono perfette e dal punto di vista visivo sono uno spettacolo. Dalle lande di un paesaggio dilaniato dalla guerra alle spettacolari immagini dello spazio aperto, la cura per i dettagli è maniacale e, nonostante una regia molto tradizionale e accademica, i coloratissimi panorami catturano e coinvolgono direttamente lo spettatore. Nota di merito alla musica, curata da Harry Gregson-Williams e Ólafur Arnalds, che spazia tra atmosfere synth wave e classici intramontabili del rock, scandendo alla perfezione il ritmo della vicenda.

Abbandonati i panni di Robb Stark, Richard Madden interpreta un poliziotto che ha una collega con misteriosi poteri.

Il filo conduttore che lega tutte le puntate è l’umanità, che è la grande protagonista di ogni singola narrazione. Gli uomini, che sono inseriti in mondi simili al nostro, ma distanti dalla terra come la conosciamo noi, sono in continua relazione con diversi fattori: l’evoluzione tecnologica, esseri provenienti da altri pianeti, altri sistemi solari e molto altro ancora. Tutte queste rappresentazioni sono verosimili anche se molto differenti l’una dall’altra: se alcuni universi sono collocati molto lontano dalla nostra immaginazione, altri sono molto vicini al nostro presente, facendoci riflettere inevitabilmente sul nostro ruolo all’interno della natura. Il risultato è un insieme di spunti interessanti, che non avendo una vera e propria direzione comune, distolgono facilmente l’attenzione dai messaggi che sono veicolati all’interno di ogni avventura.

Philip K. Dick’s Electric Dreams è un tentativo, riuscito parzialmente, di ricreare lo stesso format di Black Mirror, aggiungendo della caratteristiche più canoniche collegabili alla science-fiction.

Quello che però si è andato a creare è un paradosso: nonostante il contenuto di quest’opera e Black Mirror deriva probabilmente dalle stesse fonti letterarie, essendo la creazione di Brooker uscita 7 anni prima di questa, ha anticipato dei concetti che sono stati ripresi adesso, anche se posti in maniera differente. Inoltre, la pessima scelta di lanciare i due concorrenti a distanza di un mese l’uno dall’altro, non ha fatto che oscurare l’ultimo arrivato, che è rimasto palesemente in sordina rispetto al suo rivale che è già giunto trionfalmente alla quarta stagione. Il consiglio è quello di vedere comunque il prodotto, ma di essere consapevoli che molte delle situazioni rappresentate suoneranno familiari, proprio perché hanno un precedente illustre. Nel complesso, grazie anche al comparto tecnico e all’interpretazione degli attori, l’esito è positivo e regalerà momenti di sano intrattenimento agli amanti di galassie lontane e robot senzienti.