Recensione Bright

Netflix, principalmente produttrice di serie tv, sta rilasciando sempre più film, spostandosi con decisione anche sul lato cinematografico dell’intrattenimento. Bright, pellicola con Will Smith e Joel Edgerton (Owen Lars nella seconda trilogia di Star Wars) e diretta da David Ayer (Suicide Squad) è il lavoro più impegnativo e costoso realizzato finora. L’elemento predominante della storia è il razzismo, adattato in una Los Angeles fantasy, in cui a spartirsi il territorio sono umani, elfi e orchi, con quest’ultime due fazioni agli antipodi: gli elfi sono ricchi e ricoprono incarichi importanti, mentre gli orchi sono ghettizzati e picchiati a morte quando se ne presenta la più piccola occasione. Nel mezzo ci sono gli umani, che condividono stili di viti con gli uni e con gli altri. Tra questi ci sono i bright, in maggioranza elfi, che sono gli unici in grado di praticare la magia, grazie all’uso delle bacchette: chi non ha questo dono innato, esplode al solo contatto.


I protagonisti della storia sono gli agenti Scott Ward (Will Smith) e l’orco Nick Jakoby (Joel Edgerton), il primo poliziotto di questa razza negli Stati Uniti, che si (ri)trovano a lavorare insieme dopo una sparatoria in cui è rimasto coinvolto il primo, a causa di un criminale. Il rapporto fra i due non è per niente facile: c’è conflitto, ma non è dato dalla razza, a differenza di tutto il resto del distretto, che ha emarginato entrambi. In seguito ad una chiamata si trovano a fronteggiare una setta, gli Inferni, che vuole riportare in vita il Signore Oscuro, sconfitto duemila anni prima da un’alleanza che ha visto gli orchi diventare i più emarginati. Dopo aver incontrato un’elfa di nome Tikka (Lucy Fry, vista in H2O), tentano di salvarla e di portare al sicuro la bacchetta che porta con sé, di grande valore, soprattutto economico per chi non è un Bright. Da affrontare ci sono gli Inferni, guidati da Leilah (Noomi Rapace, Elizabeth Shaw in Prometheus), le gang e i poliziotti corrotti, che braccheranno senza sosta i tre.

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Si può parlare di un film d’azione/poliziesco, condito da personaggi fantasy, anche se di poteri o magie si vede ben poco.

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Tralasciando la trama vera e propria, si può parlare di un film d’azione/poliziesco, con l’inserimento di personaggi fantasy, anche se di poteri o magie si vede ben poco: questo sottolinea maggiormente il fattore razzismo, dettato più da differenze fisiche che di abilità. Un capitolo a parte lo meriterebbero le altre creature fantastiche che fanno la loro comparsa nella pellicola, abbastanza inutili ai fini della storia: una fata indemoniata, un poliziotto centauro, un drago e i nani, solamente citati. Bright si svolge in una notte e in un’area ristretta di Los Angeles quindi, di conseguenza, il pericolo è sempre in agguato. Il rapporto di fiducia tra Ward, Jakoby e Tikka, viene raccontato sempre nei momenti concitati, fra inseguimenti e sparatorie. Questo però non pregiudica la presenza di intermezzi comici, spesso riguardanti l’orco che cerca di socializzare con chi gli sta intorno.

Bright è sicuramente un prodotto interessante, e la trama poteva reggere anche senza gli elementi fantasy: un poliziotto vittima di razzismo si dimostra un elemento valido e ottiene la giusta considerazione all’interno della società dopo un atto eroico. La fine, forse, è un po’ prevedibile e semplicistica, giustificata da una profezia, che diventa la spiegazione di ogni evento. Nel complesso il film merita, anche se restano almeno tre questioni irrisolte, che possono essere chiarite nei capitoli che verranno, e questo non è necessariamente un fattore negativo.

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