Recensione La ruota delle meraviglie

Woody Allen, celebre filmaker e attore statunitense, ha un modus operandi piuttosto chiaro: gira un film ogni 365 giorni. Questo gli consente di essere sempre creativamente attivo e, ancora oggi, riesce a confezionare piccoli gioielli che mostrano ciò che ha voluto sempre raccontare. Affascinato dalla psiche umana e dalla complessità della vita, dai suoi prodotti emerge sempre un’ironia sottile e tagliente che spesso muove le fila dei suoi intrecci narrativi. L’ultima sua fatica è La ruota delle meraviglie, uscito nelle sale il 13 dicembre 2017 e prodotto da Amazon Studios. Dopo aver descritto gli Stati Uniti nel 1930 con Cafè Society, con questo lavoro il regista sposta la cinepresa su una New York post bellica, analizzando le contraddizioni di uno dei periodi d’oro del ventesimo secolo. Ci troviamo nella penisola di Coney Island degli anni 50’ che fa da sfondo a dei fatti che vedono come protagonisti una figlia ribelle, un genitore alcolizzato, una signora nevrotica e un bagnino seducente che sarà il narratore dell’intera vicenda.

Saranno proprio queste persone il principale motore di tutti gli avvenimenti, con i propri difetti e insicurezze e alla costante ricerca di desideri irrealizzabili. Il cast è veramente brillante e domina l’intero lungometraggio: Jim Belushi, nei panni del giostraio Humpty Rannell, è semplicemente favoloso e mette in scena il suo animo logorato dall’alcool e dalla depressione; Kate Winslet, che interpreta la moglie, è veramente incredibile, poiché esprime egregiamente la sua fragilità estrema. Nonostante questi due attori rubano interamente la scena, anche Justin Timberlake (Mickey Rubin) e Juno Temple (Carolina ) sono decisamente convincenti e talentuosi e reggono il confronto con gli altri colleghi.
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L’importanza del titolo è fondamentale: la ruota delle meraviglie del luna park è metafora dell’utopico sogno americano.

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La ridente zona balneare è al centro delle vicende e risulta, inizialmente, un luogo di pace e serenità, ma vengono bruscamente interrotte dall’arrivo della compagna di un gangster. Questo sconvolge totalmente una famiglia e fa riaffiorare prepotentemente dei segreti oramai sepolti e dei ricordi sbiaditi. Il velo di illusione crolla e si rivela il vero carattere dei vari soggetti: ognuno brama ardentemente qualcosa che lo completi veramente. Se il capofamiglia cerca una donna che lo sappia amare, anche conoscendo la sua indole bellicosa, la sua consorte sogna, invece, un uomo che la protegga e che la apprezzi, il figlio vuole conoscere il padre che non ha mai visto, il giovane desidera una storia appassionante e avventurosa, infine la ragazza ambisce ad una libertà tanto agognata e ricercata.

Il giovane Mickey Rubin, aspirante scrittore e amante della drammaturgia, fa’ da narratore all’incredibile storia.

Il momento storico di riferimento, cioè l’era del cosiddetto boom economico, è adeguatamente inquadrata con un’atmosfera molto azzeccata. Gli elementi che contribuiscono a rappresentare ogni cosa in maniera perfetta sono gli ottimi effetti di luce, che spesso oscillano tra colori caldi, dati dalle insegne luminose del parco divertimenti, e bagliori crepuscolari provenienti dalla luna e dalle onde del mare notturno. La musica è ben inserita in questa avventura: le tracce sono tutte di quell’epoca, aggiungono un tono nostalgico e malinconico, celebrando un passato lontano. Il copione non è nulla di troppo complesso e si concentra prevalentemente sui dialoghi, che spesso sono impostati come delle battute teatrali. Il tema del cinema e della finzione scenica è inserito in maniera accurata e ne sono degli esempi alcune citazioni di rappresentazioni sia cinematografiche sia drammaturgiche, oltre alla mancata carriera nel mondo dell’intrattenimento di due delle figure centrali dell’opera.
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La pellicola è sicuramente interessante e cattura l’attenzione dello spettatore, tuttavia non riesce a brillare come le altre realizzazioni di Allen.

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Un difetto abbastanza evidente è la piattezza dell’ambientazione e delle dinamiche, sempre troppo monotone e non particolarmente originali, dovuto alla mancanza di più presenze sul palco, che avrebbero potuto rendere il tutto più articolato e maggiormente avvincente. Tuttavia, ciò non va assolutamente a penalizzare le ottime performance attoriali, già lodate precedentemente. Quello che poi fa storcere leggermente il naso è il finale, davvero sconvolgente e cinico, ma nel concreto un po’ troppo affrettato nella realizzazione. Consigliamo quindi la visione agli amanti dell’eclettico regista, che probabilmente non lo apprezzeranno eccessivamente, ma che ne saranno rapiti e anche a chi cerca una alternativa ai soliti titoli natalizi.  Benché non figuri tra le commedie amare più affascinanti dell’ultimo periodo, questo film fa riflettere per le sue tematiche molto profonde e introspettive, che emergono progressivamente, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno, in cui la freddezza e l’impassibilità pervadono l’anima dei due coniugi, che continuano, come se niente fosse, la loro vita fatta di bugie, speranze e parole non dette.

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